Gli ottant'anni di Zubin Mehta (nato il 29 aprile), il Maggio li festeggia domani inaugurandoci il festival. Quella del Maestro con Firenze è una liaison che dura da oltre mezzo secolo. Dacché nel febbraio 1962 il direttore venticinquenne vi arriva per dirigere il suo secondo concerto italiano - il primo era stato all'Angelicum di Milano, il terzo sarà alla Scala. Mehta, indiano parsi, viennese per formazione (compagno di Abbado nella classe di Hans Swarowsky), goloso di cioccolato, fanatico di peperoncino, al Comunale farà anche il debutto europeo nella lirica con una "Traviata" diretta a memoria nel '64, seguita da "Tosca" l'estate successiva. Con altre scritture sinfoniche si guadagna subito in città. I suoi programmi includono pagine pressoché ignorate in Italia, come la Nona sinfonia di Bruckner e i "Sei pezzi" op. 6 di Webern. Un legame lungo cinquant’anni quello con il Teatro di Firenze che si concretizza in più tappe alcune più fortunate altre meno. Come quella del 1969 quando il teatro gli offre di mettere su il Maggio ma per l'"Aida" d'apertura succede l'imponderabile e per diverse ragioni il maestro non metterà più piede a Firenze. Ma il colpo di fulmine con il Maggio scocca tra i Settanta e gli Ottanta grazie al "Ring" wagneriano. Nel 1985 dopo che il Maestro Riccardo Muti è chiamato alla Scala viene nominato direttore principale proprio Mehta. È l'orchestra che lo vuole. È ancora l'orchestra che nel 2006 lo acclama direttore a vita. Mehta rende il Maggio competitivo sul piano internazionale. Anche in virtù della sua figura carismatica e cosmopolita lo colloca nel giro dei concerti che contano. Il che significa tournée all'estero e richiamo per solisti, bacchette, teatranti e cineasti di grido. Mehta possiede il dono di contagiare d'entusiasmo collaboratori e uditorio, e se ne serve per rendere limpida la comprensione di ogni partitura che esegue. Perfino Boulez, Vacchi, Berio, Messiae. E chissà che potrebbe fare con il "Parsifal" di Wagner che da tempo sogna di avvicinare.
(Sintesi redatta da: Silvana Agostini)