I Millennials (nati dal 1982 al 2001) e gli over 55 sono le priorità nelle aziende, sia perché motivare e definire percorsi di carriera è più difficile per chi ha queste età, sia perché fenomeni come l’ageing sono sempre più importanti. Questo il risultato della ricerca presentata a Milano da Valore D e Boston consulting group. Sono state coinvolte 82 aziende di grandi dimensioni, anche multinazionali. È forse dovuto a queste ultime se parlando di welfare, parlano della felicità, tema, come osserva Anna Zattoni, direttore generale di Valore D «molto dibattuto negli Stati Uniti ma anche in diversi paesi europei dove di felicità si parla perché fa bene al business. E non è un caso che ci sia una figura emergente come quella del chief happiness officer». Anche in Italia l’innalzamento dell’età pensionabile, l’invecchiamento della popolazione aziendale, la diminuzione delle nascite e i millennials hanno cambiato la visione delle aziende rispetto al welfare, e la novità è proprio la parola felicità. Per il 78,9% delle aziende coinvolte la felicità dei propri collaboratori è una priorità, anche se un’azienda su due non la misura (il 59,6%) e anche chi la misura usa indicatori tradizionali (buon clima aziendale, basso turn over e basso assenteismo).
Oggi la felicità fa bene al business e si misura con nuovi parametri (alto grado di soddisfazione, crescita del brand, calo degli infortuni e la crescita dei profitti). Anche se i millennials sono pochi, un’azienda su due ha programmi dedicati a loro. Che sono al 50% donne e al 50% uomini. Per quanto riguarda la popolazione aziendale over 55, che invece è molto numerosa, tra il 30 e il 50%, soltanto il 15,4% delle aziende ha già introdotto percorsi dedicati a loro. Emerge quindi un conflitto generazionale su cui in molte aziende si lavora già da tempo.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)