Nel 2015 la proporzione di poveri in Italia è cresciuta dal 6,8% al 7,6%, un anno che pure aveva registra un lieve crescita economica. La povertà assoluta è data dalla condizione di vivere in un nucleo familiare che non raggiunge la cifra minima di spesa mensile considerata necessaria alla sopravvivenza dignitosa, cifra che aumenta al crescere dei componenti della famiglia. Non stupisce, quindi, che siano i minori quelli in condizioni di maggiore povertà, il 10,9 per cento. Il dato allarmante è che a crescere maggiormente sia stata la povertà dei giovani tra 18 e 34 anni, e dall’altro l’enorme differenza tra la categoria dei minorenni e quella degli ultra 65-enni, tra cui la povertà assoluta è la metà. E' esclusivamente tra gli anziani che nel 2015 la povertà è calata. Risultano quindi aver maggiormente peggiorato la propria condizione coloro che già erano i più poveri, e così è tra i disoccupati che aumenta di più la proporzione di poveri, del 3,6%, +2% invece tra gli operai, mentre è -0,6% per i pensionati.
Da diversi anni circolano grafici e numeri sul cambiamento strutturale della distribuzione del reddito e della ricchezza nel nostro Paese: sono stati gli ultra-65enni coloro che hanno subito meno la crisi, se si misura il reddito sulla base del livello del 1995. E ancora di più spicca l’enorme gap nella ricchezza tra i nuclei con un “capofamiglia” anziano e quelli più giovani. Una ricchezza aumentata del 60% dal 1995 per i primi e calata per tutti gli altri, in particolar modo per le famiglie giovani. Un dato condizionato anche dalle inevitabili conseguenze dei cambiamenti demografici: l’aumento della durata della vita ha accresciuto il numero di famiglie con anziani e il ricambio generazionale, con la trasmissione della ricchezza ai figli, è molto rallentato. Tuttavia è sui redditi che non si possono trovare alibi: per decenni sono state richieste politiche per “i lavoratori e i pensionati” concentrandosi sui redditi già esistenti, e questo ha avuto delle conseguenze. Un Paese che dedica il 27% della propria spesa sociale alle pensioni (secondo posto europeo dopo la Grecia), solo il 2,8% alla famiglia (tra gli ultimi, la Danimarca, prima, spende l’8,6%), il 2,4% per il ricollocamento contro il 6,5% dell’Irlanda, poi non può scandalizzarsi di nulla.
(Fonte: tratto dall'articolo)