In Italia, la percentuale di over 65 sul totale della popolazione è passata da circa il 10% negli anni Sessanta a circa il 23% nel 2020. All’invecchiamento della popolazione è corrisposto l’aumento della speranza di vita, che attualmente supera gli 80 anni per gli uomini e gli 85 per le donne. Tuttavia, si sottolinea come gli italiani abbiano un’aspettativa di vita a 65 anni superiore rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’UE ma ne presentano una inferiore in termini di anni di vita in buona salute. Ne deriva che, in Italia vi è una presenza di anziani fragili ben più pronunciata e la percentuale di persone con più di 65 anni che necessitano di assistenza per motivi legati alla non autosufficienza, o a forme di cronicità, è pari a circa il 31% in Italia rispetto a circa il 27% nell’UE.
Questo è anche confermato dall’aumento dell’indice di dipendenza degli anziani, tale per cui il rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e oltre 64 anni) e la popolazione attiva (15-64 anni) è pari al 36,8% (era il 30,5% nel 2002). Non tutti gli anziani però sono in condizioni di non autosufficienza, ma con riferimento alle possibilità che un Paese offre agli anziani per poter invecchiare attivamente, l’Italia non vanta tuttavia risultati incoraggianti. L’Indice di invecchiamento attivo, riferito al 2018, segnala una performance del nostro Paese inferiore alla media europea: l’Italia è diciassettesima nella graduatoria UE (con un punteggio pari al 33,8% contro il 35,7% dell’UE).
Considerando che l'occupazione e la vita indipendente, sana e sicura sono le due componenti dell’Indice di invecchiamento attivo in cui l’Italia registra il differenziale più ampio rispetto alla media europea (rispettivamente -3,1 e -2,7 punti percentuali rispetto all’UE) e guardando alla lunga fase che si apre con il pensionamento è possibile individuare tre sottogruppi corrispondenti alle tre fasi della vecchiaia: la silver age (anziani dai 65 ai 74 anni), gli anziani fragili (dai 75 agli 84 anni) e gli anziani a maggior rischio di non autosufficienza (dagli 85 anni in poi).
Ai tre profili devono essere associati obiettivi, servizi e strumenti diversificati che meglio riflettono la differenziazione dei bisogni e delle risposte assistenziali. Gli anziani fragili si collocano in una sorta di area grigia tra la popolazione over 65 attiva e largamente autonoma e la popolazione over 85 che deve affrontare tutti i rischi legati alla perdita dell’autonomia. Tuttavia gli anziani fragili (coloro che sono autonomi in casa, ma hanno ridotta mobilità e socialità all’esterno del contesto domiciliare, indicativamente dai 75 agli 84 anni) possono continuare ad essere una risorsa per la comunità di appartenenza e costituire una fonte di innovazione per i servizi se le amministrazioni locali — con gli enti del Terzo Settore, le famiglie e il sistema produttivo — scelgono di investire risorse anche su questo target.
In un sistema di welfare in cui i costi degli oneri di cura ricadono prevalentemente sulla famiglia, la sfida per il welfare state è intervenire in almeno tre direzioni: il superamento della frammentazione delle misure e degli interventi territoriali (e fornire pacchetti unitari di risposte coerenti); il rafforzamento dei servizi territoriali e domiciliari professionali (superare la logica assistenziale, oggi prevalente, fondata sull’aiuto informale prestato dai familiari e/o dai/dalle badanti); la sburocratizzazione dei processi e la semplificazione delle procedure (mettere in campo interventi e servizi flessibili in grado di rispondere a bisogni in continua evoluzione lungo il ciclo di vita).
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)