La demenza frontotemporale si manifesta perché cambia il comportamento di chi ne è colpito; la persona inizia a compiere atti che prima non faceva: rubare nei negozi, uscire di casa semisvestito, disinteressarsi dell’igiene. Può anche diventare aggressivo, apatico, stravolgendo la sua vita e di chi gli sta vicino. Una malattia il cui impatto crescerà a causa dell’allungamento della vita e di cui si è discusso a Trieste nel primo congresso dell’Associazione malattia frontotemporale (frontotemporale.it). Tra le indicazioni scaturite dal convegno l’importanza di avere una diagnosi precoce, recandosi da un neurologo ai primi sintomi. Grazie all’osservazione clinica e agli esami di imaging cerebrale, con i quali si trovano le anomalie nei lobi frontali e nella parte anteriore dei lobi temporali, si può arrivare ad una diagnosi precoce. Oggi la ricerca è impegnata nella individuazione di specifici biomarcatori della demenza nel sangue o nel liquido cefalorachidiano. Per ora, poiché non sono chiari i meccanismi neurodegenerativi, non c’è un approccio terapeutico basato su evidenze sperimentali per le demenze frontotemporali, solo terapie palliative che agiscono sui sintomi. A Trieste, nell’Area Science Park si sta lavorando su modelli per capire cosa innesca e come si evolve la demenza e per realizzare lo screening nuovi farmaci. In 20 anni è stato possibile identificare dei geni che, quando mutati, sono associati a questa forma di demenza atipica, ed alterano la capacità di liberarsi di proteine dannose, come accade anche nelle altre malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)