Già nel 2018 l’Istat segnalava l’esistenza di un grave problema di solitudine, soprattutto tra gli anziani: circa il 30 % delle persone con più di 75 anni di età dichiara di non avere nessuno a cui riferirsi in caso di bisogno, e solo l’11 % degli anziani intervistati dichiara di ritenere di poter contare, in caso di bisogno, sul sostegno di un vicino di casa.
È una situazione preoccupante, visto che l’Italia figura tra le nazioni a sbilanciamento demografico più marcato, con una quota di ultrasessantacinquenni che già sfiora il 25 % della popolazione totale. E secondo l’Ocse, l’Italia diventerà entro il 2050 il terzo paese più anziano del pianeta dopo Giappone e Spagna. C’è da dire che, nei Paesi ad alto reddito, le persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni sono generalmente in buona salute e continuano a beneficiare di livelli soddisfacenti di inclusione sociale e disponibilità di risorse.
Sono le persone di età superiore ai 75 anni, invece, che iniziano spesso a mostrare segni di decadimento fisico o mentale e che quindi rischiano di varcare la soglia della dipendenza dagli altri. Tanto che la Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) ha suggerito di spostare formalmente a 75 anni l’inizio della vecchiaia «ufficiale», in un’ottica più consona al tempo attuale.
«L’idea di far parte di un gruppo demografico caratterizzato da persone considerate ancora funzionalmente attive, dinamiche e piene di risorse, non può che tradursi in un migliore senso di accettazione» dice Diego de Leo, psichiatra, presidente della quinta Giornata Nazionale AIP contro la solitudine dell’anziano, tenutasi a Padova al Centro Culturale Altinate San Gaetano.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)