Una ricerca condotta nel 2017, volta alla stesura di una tesi magistrale intitolata La scelta per l’inserimento in struttura residenziale, svolgendo un’analisi antropologica dei vissuti dei caregiver ha raccolto le storie di dodici persone, i cui familiari erano ospiti di una casa di riposo. Il sentimento di tristezza espresso dai partecipanti derivava in primis dalle preoccupazioni provate per lo stato di salute, la qualità di vita goduta dall’anziano e per il tipo di assistenza erogata. In questa fase le persone hanno riferito il maturare di una serie di pensieri: da una parte vi erano quelli che suggerivano di continuare a occuparsi dell’anziano nella propria casa sopportando la stanchezza e la fatica; dall’altra parte, invece, vi erano quei pensieri che promuovevano l’idea dell’inserimento in casa di riposo nella speranza che la salute del familiare migliorasse, che venisse seguito da personale specializzato e che il peso derivante dall’accudimento diminuisse sensibilmente.
Dall’analisi delle testimonianze, si è potuto notare che a trattenere le persone nel processo decisionale erano per lo più i timori provati che si esprimevano nel senso di colpa, nella difficoltà a delegare la cura del familiare a terzi e nella solitudine provata. I caregiver si sono convinti a inserire il proprio caro nella struttura solo quando si sono sentiti completamente sfiniti dai tanti mesi di assistenza. Proprio per questo motivo la scelta è stata definita come costretta perché dettata dalla fatica fisica ed emotiva e non dalla volontà personale. Le testimonianze hanno messo in luce che is sentimenti provati dopo l’inserimento in struttura erano riconducibili alla gioia: sono state, infatti, riferite sensazioni di sollievo sperimentate per aver riconquistato la propria autonomia e per essersi liberati dalla preoccupazione, dalle responsabilità e dalla grande fatica. In conclusione, le persone intervistate hanno compiuto un percorso che sarebbe stato meno gravoso se non ostacolato dai timori.
Un primo intervento a favore dei caregiver dovrebbe essere di tipo formativo mediante iniziative che li istruiscano su come affrontare la malattia del congiunto, su come gestire l’assistenza, sulle risorse e sui servizi presenti sul territorio. Una formazione personalizzata e immediatamente accessibile permetterebbe di acquisire un bagaglio di conoscenze e strumenti utili per assistere più adeguatamente l’anziano, per riconoscere e considerare i propri limiti fisici e mentali e per affrontare la decisione dell’inserimento in struttura con più serenità e consapevolezza. È importante, inoltre, che le persone abbiano la possibilità di partecipare a dei gruppi di sostegno.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)