Gli eroi invecchiano, al cinema e non solo. Da un lato, banalmente, c’è a monte un invecchiamento del pubblico, con l’età media che si allunga. Da anni è diventato normale trovare melodrammi e commedie con protagonisti ultrasettantenni, che un tempo erano al massimo confinati a ruoli di senex o di mentore, e non si contano i film ambientati in case di riposo (meglio se per artisti). Un tempo, Cary Grant o James Stewart, passati i sessant’anni, interrompevano le loro carriere e vivevano da pensionati; al massimo si concedevano qualche sporadico ruolo da caratterista. Oggi la carriera di un attore può aspettarsi qualcosa anche in tarda età. C’è poi una novità forse ancora maggiore, che riguarda non solo gli attori ma la logica dei personaggi, degli eroi. Senza risalire a Ulisse, il prototipo moderno del ritorno dell’eroe invecchiato è Vent’anni dopo di Dumas: rimettere insieme la compagnia di eroi in ritiro, in vista di nuove avventure. È proprio l’intreccio di serializzazione e di senescenza dell’eroe diventa l’elemento interessante. C’è di mezzo anche una logica peculiare nella creazione e nella permanenza delle merci culturali. La fidelizzazione del pubblico negli ultimi 10-15 anni non avviene solo sulla base di un target di età, ma sempre di più con la fidelizzazione di quel target attraverso gli anni. Il nuovo Star Wars ad esempio si rivolge nello stesso tempo a una nuova generazione di consumatori, e alle vecchie generazioni che ritornano su quei prodotti. La cosa curiosa è che anche il pubblico dei blockbuster, composto soprattutto di giovani e adolescenti, si trova fagocitato in questa logica, in una alleanza di consumatori/ spettatori insieme a zii, genitori, e tra un po’ nonni. Chissà, in questa nuova logica trans-generazionale, quanto permane quel conflitto generazionale che era stato il sale delle mode culturali, spesso vissute come scandalosa e traumatica rivolta contro i padri.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)