Negli anni ’80 l’attesa di vita di un maschio italiano non era molto superiore a 65 anni ed era l’epoca in cui si cominciava a lanciare l’allarme sulla crescente incidenza delle malattie cardio e cerebrovascolari. Le Unità Coronariche lavoravano a pieno ritmo, si sperimentavano nuovi rimedi contro l’occlusione coronarica – era l’epoca del trionfo della trombolisi, a cui sarebbe poi seguita l’epopea dell’angioplastica primaria – e ci si attrezzava con la “terapia organizzativa dell’infarto”, fatta di reti integrate di servizi per il soccorso più rapido ed efficiente possibile. Con l’inserimento nella terapia cardiovascolare delle statine e di farmaci anti ipertensivi sempre più efficaci e meglio tollerati si è generata non molto tempo fa una impressionante rivoluzione epidemiologica: la riduzione progressiva dell’infarto miocardico, con un balzo in avanti di oltre 10 anni nell’ insorgenza delle malattie coronariche. L’attuale attesa di vita di un maschio italiano è di circa 80 anni e della femmina di circa 83, e cresce di circa 3 mesi ogni anno. Questo balzo in avanti è dovuto soprattutto alla lotta contro l’arteriosclerosi degli ultimi due decenni del secolo scorso. Molto probabilmente il trattamento con statine, modificando la biologia di placca, ne ha impedito l’evoluzione verso la rottura, ma non verso l’evoluzione sclerotica. Questa modifica della struttura di placca si è tradotta in un aumento degli infarti da squilibrio emodinamico più tipico della fragilità e comorbilità delle fasce più avanzate della popolazione. Si verifica l’incremento della fibrillazione atriale, legata a fenomeni degenerativi del tessuto atriale. Queste sono situazioni che interessano una fetta molto importante (fino al 15 %) della popolazione degli ultraottantenni. Pertanto è sempre più scompenso cardiaco, sempre più fibrillazione atriale in una popolazione sempre più anziana in cui i problemi cardiologici vanno ad innestarsi in soggetti con problemi di altri organi e apparati, configurandosi situazioni di complessità crescente. Da qui la necessità di creare una nuova cultura e una nuova sensibilità nei confronti di questa fascia di popolazione: l’epidemiologia, i registri, la verifica degli esiti delle cure, la interiorizzazione del concetto di complessità sono gli strumenti adatti.
(Sintesi redatta da: Antonella Carrino)