Ma a 65 anni, in un 2017 in cui l’aspettativa di vita per un uomo italiano supera di poco gli 80 anni e per le donne raggiunge quota 85, ci si può ancora definire «anziani»? Si può veramente chiudere nel recinto dei «quasi vecchi» chi ha superato la prima metà del sesto decennio della propria esistenza? La domanda non è astratta, anzi. Proprio lunedì il «Giorno-Quotidiano Nazionale» ha dato ampio risalto alla notizia dell’avanzamento dell’iter del disegno di legge antitruffe ai danni della terza età, primo firmatario e relatore della legge il deputato David Ermini del Pd. Nel testo si parla esplicitamente di «over 65», attribuendo quindi una identità da «anziano» a chi si ritrova sulle spalle quella età. In questo mondo in grigio, numerosi sociologi concordano nel definire oggi la fascia 65-74 anni ormai come «tarda adultità» o al massimo «prima vecchiaia». Un anticipo di ciò che accadrà dai 75 anni in poi, ovvero la «vecchiaia». E quindi si impone una personalissima decisione psicologica, a chi ha varcato la soglia dei 65 anni. Rifiutare la qualifica di «anziano», rinunciando a sconti o tariffe speciali e proseguendo con uno stile di vita da «tardo adulto» pienamente attivo e libero da incasellamenti. O accettare la targhetta d’argento, con annesse facilitazioni, ma col pericolo di ritrovarsi in virtuale compagnia dei «veri» anziani.
(Fonte: tratto dall'articolo)