È difficile fare chiarezza e semplificare il nodo delle pensioni. Ecco alcuni punti fermi:
Primo: la riforma del 2011 fu imposta da vincolo esterno perché l’Italia era vicina a una crisi finanziaria e ci ha permesso di evitare la catastrofe e riguadagnare credito internazionale oltre ad un risparmio di spesa significativo. Può essere migliorata ma doveva essere fatta: con la crescita dell’ invecchiamento della popolazione, i Paesi Ocse hanno dovuto alzare dell’età pensionabile.
Secondo, il problema è la dissociazione tra pensioni e mercato del lavoro, poiché il sistema a ripartizione (gli attivi pagano per i pensionati) presuppone carriere regolari per 40 anni o più.
Terzo, la flessibilità in uscita. Non è possibile permettere a tutti di scegliere quando andare in pensione, anche perché l’uscita anticipata generalizzata sarebbe troppo costosa, sopratutto per le nuove generazioni. Si deve però trovare qualche provvedimento, soprattutto per i lavori usuranti.
Quarto, il reperimento delle risorse per permettere la flessibilità in uscita. Cioè il tipo di penalizzazioni da attuare su chi esce prima (3, 5 o 8%). Comunque la correzione attuariale sulle pensioni anticipate nel breve periodo costringe a trovare coperture finanziarie. La distribuzione nel tempo dell’onere pensionistico complessivo è molto importante. Non è detto che la Commissione europea sarebbe disposta ad accettare riforme che diventano neutrali dopo 20 anni ma che nel breve aumentano la spesa
Quinto, l’uscita anticipata influirebbe sull’occupazione? I dati evidenziano una bassa sostituibilità, tranne per le qualifiche meno elevate. Quindi bisogna aumentare la crescita economica e l’occupazione, senza mandare in pensione prima i lavoratori. Visto che non si può pensare ad un ricalcolo contributivo, bisogna pensare ad incrementare un meccanismo di solidarietà per le pensioni più basse, i pensionati più ricchi aiutino quelli più poveri. Bisogna però stabilire quali sono le pensioni più elevate: intorno ai 1.500 o sopra i 3.000 euro, anche perchè il limite deve dare un gettito adeguato per finanziare il meccanismo di integrazione — tra i 5 e i 10 miliardi almeno.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)