Sono circa un milione gli italiani non autosufficienti perché colpiti da patologie gravissime, malattie croniche e demenze senili che li hanno resi completamente dipendenti da altri. Purtroppo, è ancora molto diffusa la concezione che considera queste persone dei soggetti incurabili, quindi non “meritevoli” di prestazioni sanitarie, ma tutt’al più di interventi sociali per fronteggiare la loro condizione definita “di fragilità”. Si dice che sono “fragili” e non malati – per scivolare dal campo del diritto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie garantite dalla legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978 e dai Lea a quello dell’assistenza che, come dice la Costituzione, deve essere erogata solo alle persone "inabili al lavoro e sprovviste dei mezzi necessari per vivere”. Ciò riguarda tutti perché ormai in ogni famiglia c’è un anziano o un “grande anziano” con più di 85 o 90 anni di età. Le leggi che assicurano il diritto alle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie per gli anziani malati cronici non autosufficienti ci sono, come la legge di riforma sanitaria del 1978 che obbliga il Servizio sanitario nazionale a fornire “la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali che ne siano le cause, la fenomenologia e la durata”. La stessa legge sancisce che il Servizio sanitario deve operare nei confronti della “popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio”. Per poter richiedere la continuità terapeutica occorre inviare una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno al Direttore generale dell’Asl e al Sindaco del Comune di residenza del paziente e al Direttore sanitario della struttura in cui il soggetto è ricoverato, richiamando le norme vigenti in merito ai reclami e fare riferimento alle leggi che obbligano la Sanità a provvedere, senza limiti di durata, anche alla cura degli infermi inguaribili (ma pur sempre curabili), compresi quelli colpiti da non autosufficienza. Specie in tempo di crisi economica e sociale come quella attuale, è facile che la cancellazione dei diritti acquisiti venga accettata come misura necessaria per la diminuzione della spesa pubblica, o come una soluzione capace di proiettarci verso una migliore prospettiva. Perciò è necessario ribadire che garantire il diritto alle cure ai malati non autosufficienti non vuol dire “rubare” il posto ad altri pazienti. Si tratta, però, di fare scelte sulla destinazione dei contributi secondo precise priorità, rinviando le spese non indispensabili ed eliminando gli sprechi. Non è accettabile, legalmente e moralmente, che lo Stato abbandoni queste persone a se stesse e alle loro famiglie – lasciate peraltro sole – soltanto perché li considera soggetti improduttivi e “di peso” per la società.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)