Nel nostro paese manca da oltre trent’anni una “vision” unica e condivisa del sistema di continuità assistenziale. L’Italia non ha ancora riformato questo settore, a differenza di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. L’ultimo rapporto sulla non autosufficienza stima in ben 2,5 milioni gli anziani con limitazioni funzionali di qualche tipo (mobilità, autonomia, comunicazione, ecc.) quindi parzialmente o totalmente non autosufficienti. La possibilità di garantire un’appropriata assistenza continuativa (Long-term Care, LTC) a questa fascia di popolazione deve rappresentare una priorità dell’agenda politica. Riassumiamo i provvedimenti più recenti che hanno interessato questa area di intervento. Il primo, dal lato delle policy in materia di sanità, è stato il decreto di riorganizzazione delle reti ospedaliere (decreto Balduzzi) la cui efficacia deve essere ancora testata. Inoltre, il Fondo nazionale per le non autosufficienze, dopo aver subito tagli pesantissimi nel biennio 2011-2012, solo nel 2015 è tornato ad avere una dotazione di 400 milioni di euro. Si tratta, infatti, della principale risorsa cui gli enti locali attingono per finanziare interventi sociali e socio-sanitari nella comunità, compresi servizi di assistenza domiciliare (SAD), assegni di cura, servizi di prossimità e teleassistenza, solo per citarne alcuni. L’ultima revisione dei parametri dell’ISEE (novembre 2014) ha inserito nuovi livelli di detrazioni fiscali per le persone non autosufficienti e l’equiparazione di alcune prestazioni assistenziali (quali ad esempio la pensione di invalidità civile e l’indennità di accompagnamento) a veri e propri redditi che contribuiscono ad alzare l’indicatore. La conseguenza indiretta di tale provvedimento è quella di obbligare gli utenti a pagare quote più elevate di compartecipazione alle spese per sanità e servizi sociali locali.
(Sintesi redatta da: Antonella Carrino)