I sistemi di welfare dei diversi Paesi hanno reagito con modalità differenti allo shock della crisi. Regno Unito e Svezia sono intervenuti con un’azione di contenimento della spesa sociale mentre Danimarca, Germania e Paesi Bassi l’hanno aumentata nel 2008 e, soprattutto, nel 2009. La spesa per protezione sociale ha continuato a crescere in Italia, negli altri paesi del Sud Europa e in Irlanda, ma in maniera molto più contenuta del passato. Tra quelli europei, il sistema di protezione sociale del nostro Paese è uno dei meno efficaci; su una media UE del 27,7% del Pil l’Italia si colloca al 28,6%. La superano Danimarca, Francia, Finlandia e Grecia (con una media, nel 2013, tra il 30 e il 32%) mentre Paesi come Estonia, Lituania, Romania, Lettonia si collocano mediamente sopra il 14%. Nel 2014 la quota di persone a rischio povertà si è ridotta di 5,3 punti a fronte di una riduzione media nella Ue di 8,9 punti. In Italia la disuguaglianza nella distribuzione del reddito (misurata attraverso l’indice di Gini sui redditi individuali lordi da lavoro) è aumentata da 0,40 a 0,51 tra il 1990 e il 2010; si tratta dell’incremento più alto tra i paesi per i quali sono disponibili i dati. Tra il 1997 e il 2014, a differenza che tra i giovani, migliora la condizione degli anziani (l’incidenza della povertà relativa è scesa da 16,1 al 9,8%) associata sia al progressivo ingresso tra gli ultrasessantaquattrenni di generazioni con titoli di studio più elevati e storia contributiva migliore sia all’essere percettori di redditi “sicuri”. Il titolo di studio incide sulla speranza di vita, soprattutto per gli uomini. A 80 anni la quota di uomini laureati sopravviventi è del 69%, contro il 56% di chi ha al massimo la licenza media.Tra le donne laureate la quota è invece dell’80%, contro il 74% di chi ha basso titolo di studio. Il numero di ricoveri è andato costantemente riducendosi. Le dimissioni ospedaliere sono passate da oltre 12,8 milioni nel 2001 a 9,4 milioni nel 2014 (-26,7%). Il contributo alla diminuzione dei ricoveri è derivato unicamente dalla componente dei ricoveri per acuti (-29,2%), che costituiscono il principale motivo di ricovero (91,1% dei ricoveri complessivi nel 2014). Dal 2003 al 2014 l’età di pensionamento si è progressivamente innalzata. L’età media dei nuovi pensionati di vecchiaia è passata da 62,8 a 63,5 anni. Aumenta il numero di anni di contribuzione con cui si arriva al pensionamento. Tra i nuovi pensionati di vecchiaia l’incidenza di coloro che hanno versato contributi per non più di 35 anni scende dal 54,9 al 37,5% tra il 2003 e il 2014, quella di chi ha versato contributi per un periodo compreso tra i 36 e i 40 anni passa dal 37,6 al 33,7%, mentre per chi ha percorsi contributivi superiori ai 40 anni l’incidenza si quadruplica, passando dal 7,6 al 28,8%.
(Sintesi redatta da: Antonella Carrino)