Sulla rivista Nature è stata pubblicata una ricerca sulla longevità in cui si annuncia che l’uomo non può vivere oltre i 110, 115 anni. Uno degli autori della ricerca, il dott Xiao Dong, parla dei danni che con il passare degli anni accumuliamo e che quindi portano un limite alla vita. L’aspettativa di vita è aumentata nell’ultimo secolo grazie alla minore mortalità infantile, alle cure e alle attenzioni che dedichiamo alla nostra salute, al miglioramento del cibo ed ai progressi della medicina. Tutto ciò porta ad avere più centenari, ma un minor numero di supercentenari, almeno in Francia, Inghilterra, Giappone e Stati Uniti, i Paesi cioè che dispongono dei dati più affidabili. Un commento all’articolo di Nature, scritto da Jay Olshansky, professore di Public Health a Chicago, fa notare che ciascuna specie animale ha un limite di durata della vita e di conseguenza dovrebbe essere così anche per l’uomo. Il nostro stesso corpo manda questi segnali, infatti non siamo fatti per invecchiare ma per vivere abbastanza da poterci riprodurre e assicurare la sopravvivenza della specie. Fatto questo, la natura tende a non curarsi più di noi, non c’è nessuna attenzione a riparare i danni e le cellule che portano informazioni pericolose girano e si moltiplicano senza che nessuno le possa fermare. Insomma, i nostri geni dopo una certa età non si curano di noi, a loro interessa passare ai nostri figli. La natura non aiuta, la scienza invece potrebbe farlo ma a patto di concentrarsi su ciò che serve per rallentare l’invecchiamento, non per curare le malattie (al contrario quindi di ciò che facciamo oggi).
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)