Il 5% circa dei pazienti Parkinson è portatore di mutazioni dominanti nel gene TMEM175, implicate in una forma di malattia che insorge dopo i 50 anni di età. È quanto emerge da una ricerca nata dalla collaborazione tra Irccs Neuromed e Istituto di Genetica e Biofisica "Adriano Buzzati Traverso" del CNR di Napoli e finanziata dal Ministero della Salute.
La proteina prodotta dal gene studiato è fondamentale per la regolazione dell'acidità all'interno dei lisosomi, organuli cellulari che agiscono come veri e propri "spazzini delle cellule". Al loro interno avviene infatti la decomposizione di componenti cellulari non più utili o di elementi dannosi, ad esempio le proteine ripiegate in modo errato o gli organuli usurati. Il processo, chiamato autofagia, mantiene in salute le cellule, rinnovando costantemente i loro componenti. Quando i lisosomi non funzionano correttamente, come può avvenire se la loro acidità non è quella giusta, si verifica un accumulo di veri e propri rifiuti, che può essere alla base di patologie degenerative.
Come tutti i geni, anche TMEM175 può presentare diverse varianti. È su questo aspetto che si è concentrato lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Molecular Neurobiology. I ricercatori, in particolare, hanno studiato sia tessuti umani che modelli animali, esaminando le diverse varianti del gene nonché il processo di espressione genica (la trascrizione dell'informazione genetica in proteine).
TMEM175 è risultato particolarmente espresso in neuroni dopaminergici della Substantia Nigra, proprio quelli la cui degenerazione è la causa principale del Parkinson, e nelle cellule della microglia corticale, che possono essere coinvolte in processi neuroinfiammatori. Si tratta del più ampio studio genetico realizzato su pazienti italiani affetti da morbo di Parkinson utilizzando metodiche di sequenziamento di ultima generazione.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)