Addio Opzione Donna. L’anticipo pensionistico al femminile, introdotto dalla legge Maroni nel 2004 per aiutare le lavoratrici ad anticipare la pensione, è al suo ultimo anno di vita. Unico esempio di ricalcolo contributivo dell’assegno – dunque con penalità implicita – nel nostro sistema previdenziale, ha consentito a oltre 170mila donne di lasciare il lavoro prima dei requisiti ordinari. Al prezzo però di un assegno tagliato fino ad un terzo.
Il governo Meloni ha dapprima depotenziato Opzione Donna, introducendo nella manovra di dicembre paletti che l’hanno resa inaccessibile e causando così la protesta delle “20mila esodate”. Ora pensa di cancellarla del tutto per inglobarla nell’Ape sociale.
Ecco, dunque, cosa ha pensato il governo. Visto che il pacchetto previdenziale della prossima manovra d’autunno sarà molto stretto – un miliardo, al massimo due – perché non riconfermare un’Ape sociale, in scadenza a fine anno, un po’ allargata e tale da ricomprendere le “esodate” di Opzione Donna?
L’Ape sociale già oggi prevede “sconti” per le donne: una riduzione dei requisiti contributivi pari a 12 mesi per ciascun figlio nel limite massimo di 2 anni. Possono quindi bastare anche 28 anni di contribuzione, ma l’età resta a 63 anni. Il governo potrebbe abbassarla a 60. I sindacati – che sul tema della flessibilità in uscita hanno in previsione un incontro con gli esperti del Ministero del Lavoro –chiedono da tempo una revisione della lista delle mansioni gravose, troppo ristretta. E anche di non tagliare altri fondi per i precoci togliendo 325 milioni in tre anni, tra Legge di Bilancio e Decreto Lavoro di maggio.
(Sintesi redatta da: Nardinocchi Guido)