A marzo 2020 l’Italia ha registrato complessivamente 80.625 decessi, il 48,6% in più della media dello stesso mese tra 2015 e 2019: un trend fotografato nel nuovo rapporto annuale dell’Istat, dove svettano i picchi di Lombardia (+188%, con un impressionante +571% nella Bergamasca) ed Emilia Romagna (+71%, con un balzo del 271% a Piacenza).
Ad aprile invece i decessi totali sono stati 64.693, il 33,6% in più del lustro precedente.
È in questa differenza che si inserisce l’ipotesi sul numero reale delle vittime del Covid-19 in Italia: i morti effettivi sarebbero così oltre 25mila appunto a marzo e più di 15mila il mese seguente.
Tra le fasce più colpite gli uomini settantenni e ottantenni, i cui decessi sono aumentati di oltre il 52% nei primi quattro mesi del 2020. Si osservano maggiori incrementi dei tassi di mortalità, in termini tanto di variazione assoluta quanto relativa, nelle fasce di popolazione più svantaggiate, quelle che già sperimentavano, anche prima della epidemia, i livelli di mortalità più elevati.
L’istituto statistico si è interrogato anche su come il contagio si sia allargato nel Paese e l’ipotesi è che vi sia «sicuramente» una relazione con «il livello di intensità relazionale dei flussi nei 'sistemi locali di lavoro'»: i livelli più elevati di mortalità da coronavirus, infatti, «si osservano nei territori in cui l’intensità delle relazioni è maggiore».
Cioè nei 'sistemi' di Albino (media val Seriana, 45,2 decessi ogni 10 mila abitanti), Canazei (Val di Fassa, 40,9), Orzinuovi (nel Bresciano, 34,3), Clusone (alta val Seriana, 34,1), Lodi (30,5), Cremona (29,6), Piacenza (21,1), Fiorenzuola d’Arda (29).
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)