L’ultima indagine demoscopica dell’Osservatorio Demos-Coop descrive un Paese che ha paura di invecchiare e in cui le passioni (politiche e religiose) sono tiepide. Leggendo il rapporto ci si può chiedere se ha ancora senso parlare di “generazione”. Per tutte le generazioni dai millenials (fino a 35 anni), fino ai veterani (over 72), la gioventù finisce a 52 anni e l’età anziana inizia non prima dei 76. La percezione dell’età, anche all’interno delle famiglie, si sposta sempre più in là; tutti evitano di definirsi vecchi come se fosse un demerito. L’Italia, con un’età media di 45 anni, non è un Paese per vecchi. Il secondo punto è la scomparsa delle passioni. Solo il 7% dei 15-24enni ritiene la religione importante per la propria vita. Si sale al 18% per i millennials, fino al picco del 45% per gli over 72. I dati sulla politica sono impietosi: il picco è il 17% dei 52-61enni. Perfino successo e carriera non tirano più: si va dal 13% dei 52-61enni al 41% dei più giovani. Reggono l’istruzione e la cultura, considerate importanti dal 78% dei 15-24enni, dal 66% dei millennials e dal 69% degli appartenenti alla Generazione X (37-51enni). Il terzo passaggio è forse quello più radicale: si frammenta e si perde anche il concetto di generazione se pensiamo che il 24% dei 15-24enni dice di sentirsi solo, mentre, per la devastata fascia fra i 25 e i 36 anni, si arriva a picchi del 39%. Non è un caso che l’ultima di queste etichette, la Generazione C, risponda a una serie di atteggiamenti e pratiche connesse e digitali che accomunano individui di età diverse. Insieme all’età adulta e alle passioni, forse, bisogna ridefinire anche il concetto di “generazione”.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)