Nonostante la realtà virtuale abbia iniziato a prendere piede nei laboratori di neuroscienze da circa 10-15 anni, soltanto adesso si sta vivendo una sorta di boom tecnologico nel campo delle scienze neuroriabilitative. Rispetto ad altre tecniche, ha il grande vantaggio che permette di immergere le persone nell’ambiente virtuale facendo in modo che venga percepito come reale. In questo modo, è possibile simulare l’ambiente in modo da raggiungere l’obiettivo terapeutico.
«Ma il fattore fondamentale è che con la realtà virtuale possiamo indossare in alcuni casi un corpo virtuale - chiarisce Gaetano Tieri, psicologo ricercatore al Santa Lucia Irccs di Roma e Università degli studi Unitelma Sapienza -. Questo comporta che le persone, quando osservano il corpo virtuale, hanno la sensazione che quello sia il proprio corpo, e questo può agevolare molto il lavoro dello sperimentatore o dell’equipe terapeutica».
Grazie al visore, infatti, il cervello dell’osservatore è coinvolto a tal punto da credere che il movimento del corpo virtuale sia il proprio. Quindi, in caso di future tecniche neuroriabilitative, osservare un corpo virtuale che ci mostra quale esercizio fare per migliorare l’aspetto motorio è fondamentale.
Non solo. Le illusioni di movimento sono importanti per la rappresentazione che abbiamo del corpo, quindi per tutti i disturbi connessi al movimento. Lo sono però anche per quanto riguarda la sensazione di muoversi all’interno di un ambiente virtuale. Come risulta da uno studio effettuato in Fondazione Santa Lucia su un gruppo di persone colpite da ictus. In base al tipo di danno cerebrale subito, questi pazienti dovevano guardare uno scenario in ambiente virtuale, che si muoveva alla velocità del cammino o della corsa. Questa semplice stimolazione visiva permetteva alle persone che stavano guardando di avere la sensazione di muoversi, tant’è che cercavano di aggiustare il proprio equilibrio.
L’analisi posturale, cioè della modalità con cui questi pazienti andavano a modificare il loro equilibrio, messa a confronto con il comportamento di persone sane o di anziani senza disturbi neurologici, ha permesso ai ricercatori di ottenere degli indici per monitorare nel tempo l’andamento delle conseguenze dell’ictus.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)