In entrambi i Paesi presi a confronto la popolazione sta invecchiando, ma è la classe degli ultrasessantacinquenni che è divenuta molto più eterogenea rispetto al passato, comprendendo individui con caratteristiche, esigenze e stili di vita sempre più diversificati. Se fino a metà del secolo scorso la popolazione “giovane” - intesa come in buone condizioni di salute - non superava i 55-60 anni, oggi supera i 75-80 anni, con un guadagno in termini di potenziale “popolazione attiva” di 10-15 anni. Mettendo a confronto la piramide per età risultante dal censimento del 1951 e quello del 2008, risulta che l'età mediana della popolazione italiana è passata da 29 anni a 42. Questo significa che ben 13 generazioni sono passate dalla fascia vecchia a quella giovane. L'Argentina muovendo all'incirca dalla stessa situazione - 26 anni l'età mediana nel 1951 -, sessanta anni dopo registra un'età mediana della popolazione di 30,4 anni. Questo risultato di minore invecchiamento risulta determinato soprattutto dal mantenimento del tasso di fertilità che passa in Argentina dal 3,5 figli in media per donna a 2,2, mentre in Italia scende a 1, 3 per assestarsi a 1,6. A questo si associano poi i miglioramenti della qualità nelle condizioni di vita per cui la speranza di vita alla nascita dai 60 anni per entrambi i paesi negli anni '50 arriva a 75 per l'Argentina e 80 per l'Italia.
Se da una parte si parla quindi di invecchiamento della popolazione dall'altro si osserva uno svecchiamento demografico reale; una popolazione si è svecchiata perché la sua struttura ha ringiovanito di 13 generazioni le categorie demografiche, ma anche sociali, economiche, commerciali. L’aumento della sopravvivenza ha inciso soprattutto per le età infantili e giovanili rispetto a quelle anziane, comportando un aumento più che proporzionale di giovani che non di anziani e provocando pertanto un ringiovanimento della struttura per età. Di fronte a questo fenomeno, risulta poco soddisfacente considerare la soglia di anzianità a 65 anni. In uno scenario, in cui si è giovani fino a 42 anni, diventare anche se convenzionalmente vecchi a 65 conduce alla contrazione di una fascia di popolazione fondamentale: quella degli adulti.
I cicli di vita - età giovane, età adulta, età anziana - non corrispondono più alle attuali tendenze riguardanti livello di istruzione, maggiore precarietà nel lavoro, posticipazione della fecondità e riduzione del numero di figli messi al mondo, difficoltà di conciliazione tra famiglia e lavoro. Queste mutate caratteristiche hanno portato negli anni al sorgere di un altro fenomeno, al cosiddetto “invecchiamento dei giovani”; questi ultimi diventano, infatti, adulti sempre più tardi. Dunque sono “più vecchi” rispetto al passato. Essere anziani a 65 anni, vuol dire, per gli adulti di oggi, avere poco più di 20 anni per studiare, cercare un lavoro, formare una famiglia, garantire il ricambio generazionale, mantenere l’economia, assicurare lo sviluppo del Paese, mettere da parte i soldi per una pensione. Cinquant’anni fa gli adulti avevano più di 40 anni per fare tutto questo oggi ne hanno meno della metà.
Occorrerà allora fissare nuovi limiti di riferimento per le varie età della vita e soprattutto considerare fisse solo le età estreme quella entro cui si è giovani e quella in cui si è vecchi; le età "intermedie" - adultità e anzianità - sarebbero invece graduali e variabili.
(Sintesi redatta da: Laura Rondini)