Secondo l’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità nel nostro Paese oltre un milione di persone presenta decadimento intellettivo (di cui circa 600.000 con Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza (definiti caregiver). Entro certi limiti cambiamenti riscontrabili in alcune funzioni cognitive come la memoria, l’attenzione, la concentrazione, il linguaggio sono osservabili sia nelle persone sane, sia in chi sviluppa un declino cognitivo lieve (più spesso definito “Mild Cognitive Impairment- MCI”), o in malattie più gravi come la demenza di Alzheimer. Considerando la complessità delle diverse forme di demenza, si impone la necessità di un approccio globale del fenomeno che richiede l’attuazione di opportune strategie di prevenzione primaria e secondaria. I programmi di training cognitivo risultano utili come forma di prevenzione primaria per le persone sane, ma anche come intervento preventivo secondario per chi abbia già un problema cognitivo, o per rallentare il decorso cronicizzante della malattia per le persone affette da demenza iniziale. La partecipazione ad una programma di training, il più possibile individualizzato, determina effetti positivi che perdurano nel tempo, come dimostrato a livello scientifico da recenti meta-analisi, sia sul paziente, con miglioramento del funzionamento cognitivo, dell’umore e del comportamento che sul caregiver, riguardo la qualità della vita e della sfera relazionale.
(Fonte: tratto dall'articolo)