Joseph Chamie, uno dei più illustri demografi dei nostri giorni e direttore della Divisione per la Popolazione delle Nazioni Unite, inizia il suo recente saggio “Lo storico capovolgimento delle popolazioni” spiegando che proprio in Italia, nel 1995, si è verificata la prima svolta nella storia della società umana: i ragazzi di una certa popolazione sono diventati meno numerosi degli anziani. Cinque anni dopo, è toccato ad altri sei Paesi (Bulgaria, Germania, Grecia, Giappone, Portogallo e Spagna) poi ad altri ventitré Paesi fino al 2015. Che l’Italia fosse uno snodo cruciale per capire gli andamenti demografici del pianeta lo avevano intuito, nel 1983, anche gli studiosi della rivista francese “Population et Societés” nell’articolo “Que se passe-t-il en Italie?” (“Cosa succede in Italia?”).
Gli autori esortavano il lettore ad abbandonare lo stereotipo dell’Italia “sorella latina” della Francia con vive tradizioni familiari e ad alta prolificità. Il “caso Italia” potrebbe fare da apripista anche per il futuro cercando un nuovo equilibrio fra le due grandi paure demografiche che Scipione Guarracino, nel suo libro “Allarme demografico”, ha definito il deserto (rischio invecchiamento/spopolamento) e il formicaio (rischio eccessiva crescita demografica). La sfida, in realtà, non risiede in queste due tendenze ma, come dimostra il caso italiano, in rapidi squilibri demografici che si manifestano nei singoli Paesi e che vanno in direzioni opposte ma simultanee e investono aree geografiche diverse. Il “caso Italia”non può essere compreso fino in fondo se non è collocato all’interno del più vasto e contemporaneo “scontro delle demografie” oggi in corso sul pianeta.