Tutto comincia da una storia vera. Una donna si occupa della propria madre non autosufficiente, costretta a letto. Lo fa mentre ancora lavora, nel periodo in cui alcuni dei suoi figli (quattro) si sposano e altri sono alle prese coi problemi coniugali. Ha anche dei nipoti di cui deve prendersi cura. Insomma, vive cinque anni di grandi fatiche.
Mentre affronta tutte le difficoltà che la vita le snocciola davanti pensa: devo risparmiare tutto questo ai miei figli.
Da questa storia di vita nasce la Maison de Babayagas (la Casa delle Streghe per noi italiani) che ha aperto i battenti nel febbraio del 2013 a Montreuil, nella periferia parigina.
Thérèse Clerc, femminista ottantacinquenne, è l’ideatrice del progetto che vuole, in primo luogo, cercare di scardinare alcuni stereotipi legati alla vecchiaia: lungi dall’essere destinatarie di assistenza, un peso per la collettività, le donne che vivono nella casa delle streghe si impegnano infatti a sostenersi l’una con l’altra e a contribuire attivamente alla vita della comunità.
20 donne dunque, over 65, ognuna con un piccolo appartamento di 35 mq, all’interno di una struttura con molti spazi comuni. Tutte devono pagare una quota media di 420 euro al mese.
I principi su cui si fonda la convivenza della Casa sono l’autogestione, la solidarietà, la cittadinanza e l’ecologia. L’autogestione perché la casa è governata da un Consiglio d’amministrazione eletto dalle stesse abitanti. La solidarietà e la cittadinanza perché la casa è aperta al quartiere, nel quale organizza corsi di lingua e altre attività con i giovani e gli immigrati. Ecologia perché il progetto prevede il riutilizzo dell’acqua piovana e il recupero dell’energia attraverso i pannelli solari. La spesa viene invece ordinata dai contadini del territorio.
L’elemento fondamentale per accedere alla Casa delle streghe è tuttavia l’attivismo sociale, elemento considerato imprescindibile per poter vivere una vecchiaia serena e in buona salute.
Rispetto ad altre forme di cohousing, questa esperienza mi sembra particolarmente interessante perché è rivolta a persone autosufficienti che, nell’intento di non essere di peso né ai figli né alla comunità, si impegnano per sostenersi vicendevolmente, ritardando così il declino e l’eventuale ricovero in una struttura. Il tutto senza trascurare un concreto impegno verso gli altri. (Fonte: www.50epiu.it)