La cura dell’amore è un’opera complessa, che consente diversi livelli di lettura. Intrecciando il racconto in prima persona all’analisi delle teorie della giustizia proposte dal pensiero liberale, mette a fuoco un problema che appartiene all’esperienza umana prima che alla filosofia: la vulnerabilità e la dipendenza di ognuno, emblematicamente rappresentate dalle differenti forme della disabilità. Questo argomento è affrontato in maniera originale, assumendo la prospettiva di coloro che, a vario titolo, per ragioni affettive o professionali, si prendono cura di chi è dipendente - bambini, anziani, disabili, persone non autosufficienti. La libertà, la realizzazione, l’indipendenza di ciascuno sono di fatto rese possibili da una rete di relazioni e di dipendenze che le sorreggono.
E ancora, una concezione della giustizia che contempli solo individui sani, autonomi, capaci di reciprocità e rapporti simmetrici non può che fallire il suo obiettivo con pesanti conseguenze sociali. All’origine ‘siamo tutti figli’, ovvero, almeno nella prima parte della nostra vita, bisognosi dell’assistenza di un altro, o più spesso di un’altra. Sono infatti in primo luogo le donne a prendersi cura dei figli, dei padri, dei fratelli e a svolgere, con scarsa o nessuna remunerazione, quello che Eva Kittay chiama significativamente ‘dependency work’: il lavoro di accudire chi è dipendente. L’affiancarsi di più registri dice anche come la realizzazione di una società giusta e capace di riconoscere i diritti e i bisogni di tutti i suoi membri richieda non solo riflessione teorica e impegno civile ma, non ultimo, un profondo coinvolgimento personale. Un cammino forse ancora lungo e accidentato, ma necessario e possibile: il libro di Eva Kittay offre a chi intraprende questo viaggio le coordinate necessarie.
(Fonte: www.vitaepensiero.it)