La legge di bilancio 2018 (legge 205/2017) è intervenuta sul sistema pensionistico italiano, definendo modifiche delle modalità di accesso al pensionamento anticipato per alcune categorie di lavoratori. Il provvedimento aveva introdotto «l’APE Sociale» per consentire il ritiro anticipato per alcune categorie di lavoratori svantaggiati e indicato fra le linee guida della cosiddetta «Fase 2», la possibilità di delineare (nel 2017) ulteriori forme di flessibilità in uscita in base alle differenze di longevità.
Le decisioni di policy prese subito dopo (bloccare per un biennio per poche migliaia di lavoratori l’aumento di 5 mesi dell’età pensionabile ed estendere ad altre 4 categorie l’accesso all’APE Sociale) sono state un occasione persa per ripensare organicamente il sistema. In base ai dati Eurostat, il tasso di occupazione di chi ha al massimo un diploma di scuola media è in Italia pari al 33,8% ; inferiore alla media della UE a 15 (36,8%), mentre, fra i laureati, il tasso di occupazione risulta pari al 79,3% (inferiore solo alla Svezia); a fronte di una media della UE a 15 del 63,9%.
Differenze così ampie dovrebbero far riflettere sulle cause retrostanti e interrogarsi sulle conseguenze che aumenti indiscriminati e continui dell’età pensionabile possano implicare sul sistema economico e sul benessere individuale. Un’età pensionabile uguale per tutti (con il sistema contributivo basato sulla sola aspettativa di vita media), ridistribuisce in senso regressivo la ricchezza pensionistica (il totale delle pensioni che si riceverà nella vita)da chi vive di meno, dunque i meno abbienti, a favore dei più abbienti, che vivono in media di più. Emerge anche il rischio che l’aumento forzoso della vita attiva per persone impegnate in lavori di diversa gravosità, oltre che lo stress associato ai rischi di disoccupazione in età anziana.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)