Se volgiamo uno sguardo limpido alla vita di tutti noi, la felicità vuol dire edificare e mantenere, attraverso conoscenze e azioni, la nostra natura di esseri razionali e morali. Intrecciare buone relazioni con noi stes- si, gli altri e l’ambiente, mentre ci si adatta a circostanze destabilizzanti e a fattori aggressivi esterni, come pure agli assalti che colpiscono dal di dentro, per la debolezza della condizione umana e il suo spontaneo deterioramento col trascorrere del tempo.
D’altra parte la felicità è il bene supremo e finale, sicché, se non lo si raggiunge nel tratto conclusivo della nostra corsa, è come se mai lo avessimo conosciuto.
È possibile, allora, essere felici anche in una RSA? Pur trovandosi lì ospi- tati in quanto persone sul viale del tramonto? Persino prive di piena padronanza di se stesse? Il libro si interroga su quale sia la cornice esi- stenziale adatta a favorire una qualità di vita da cui emergano, se non stati d’animo con lucida coscienza, almeno sensazioni ed emozioni, che rendano sereni e quasi grati di una sorte, per tanti versi e nonostante tutto, che può essere considerata buona. Buona sorte: in greco eudai- monia, in latino beatitudo!
(Fonte: www.maggiolieditore.it)