I ricercatori della Emory Rollins School of Public Health hanno reclutato 18.370 statunitensi di età pari o superiore ai 50 anni, intervistati nel 2004 e seguiti fino al 2014, e hanno scoperto che chi aveva frequentato funzioni religiose almeno una volta a settimana aveva un rischio di mortalità inferiore del 40% rispetto a chi non lo aveva fatto. I frequentatori più assidui avevano meno probabilità di fumare o bere alcolici, erano più disposti a effettuare screening sanitari e a fare attività fisica. Non c’erano invece differenze per il tipo di religione seguita. Il professor Raffaele Antonelli (Medicina interna e geriatria Università Campus Biomedico di Roma e, dal primo gennaio 2018, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia), sostiene che la religiosità attiva è un marker tipico di una popolazione a minor rischio di morte in virtù di un insieme di fattori protettivi, come migliori stili di vita e maggiore propensione alle relazioni sociali. E’ documentato che la religiosità protegge dalla depressione, notoriamente associata a malattia e morte.
(Sintesi redatta da: Carrino Antonella)