Alain Juppé, 70 anni, che si presenta alle primarie dei Républicains per le presidenziali del 2017 in Francia ha moltissimi giovani che lo sostengono. Come succede negli Stati Uniti a Bernie Sanders, 74 anni, rivale di Hillary Clinton alle primarie americane e che, se vincesse, potrebbe sfiorare gli ottant’anni alla Casa Bianca. Il giovanilismo non fa per i giovani, anzi i Millennials (i nati tra il 1982 e il 2004) sono la categoria sociologica che sembra più vicina, per valori e affinità, ai senior. Non solo nel campo politico, sempre in Francia, libri di autori novantenni come Edgar Morin e Jean d’Ormesson sono amati soprattutto da lettori sotto ai quarant’anni, e il manifesto della rivolta giovanile di qualche anno fa è stato “Indignez-vous!”, Indignatevi, firmato da Stéphane Hessel, classe 1917. Meglio i nonni, visti più dei genitori come punto fermo in un mondo in tempesta, ponte tra vecchio e nuovo secolo, anche per i tanti punti in comune. Come la generazione che ha passato le guerre mondiali, i Millennials sanno che il futuro non è garantito. Crisi sociali ed economiche, precarietà, terrorismo, minaccia del cambiamento climatico. «È una generazione complessa da decifrare perché è cresciuta in un mondo complesso» spiega Alexandra Jubé, responsabile nell’agenzia di tendenze Nelly Rodi. Per i sociologi i Millennials sono un’enigma spesso in bilico tra gli estremi. «Cambieranno totalmente i codici di consumo e gli stili di vita» prevede l’analista. I Millennials sono quindi in politica alla ricerca di radicalità, interpretata meglio dai senior, percepiti come outsider del sistema. I veri “punk”, ribelli e antagonisti, ha scritto qualche giorno fa il Parisien, hanno tante rughe e capelli bianchi. «I Millennials sono favorevoli alla democrazia diretta, rifiutano l’intermediazione » dice Anne Muxel, studiosa del centro di ricerca Cevipof di Sciences Po. Anche nel lavoro i ragazzi chiedono un’organizzazione orizzontale e non verticale. Anche se molti giovani sono attratti da forze populiste, Muxel osserva una crescita di interesse per candidati che mettono avanti l’etica, tornando a valori antichi: la tolleranza, l’eguaglianza sociale. I politologi Vincent Tiberj e Antoine Jardin parlano di una gioventù “pluralista” perché è mobile nelle scelte, ha lasciato lo scontro ideologico tra destra e sinistra, e non esprime due sentimenti polarizzanti del dibattito: il rigetto dell’immigrazione e la paura dell’Islam. I “pluralisti”, sono maggioranza tra i giovani più istruiti, oltre il 60%. I Millennials difendono un immaginario politico aperto e cosmopolita simile a quello nonni che hanno saputo accogliere e integrare tante ondate di immigrazione, dal dopoguerra in poi.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)