A proposito della maggiore longevità, si tendono a vedere più gli effetti negativi, come l’andare in pensione più tardi, piuttosto che di come spendere al meglio gli anni guadagnati, come se vivere più a lungo fosse un inconveniente. Questa visione distorta ha portato la politica ad inserire nuovi vincoli più che nuove opportunità, senza un investimento in formazione continua e su fattori di age management per rendere migliore il prolungamento della vita lavorativa sia per le persone che per le aziende. Infatti bisogna tener conto che mentre la longevità deve diventare un’opportunità, il problema reale è l’invecchiamento demografico dovuto al crollo delle nascite. Secondo i dati Istat è maggiore lo sbilanciamento verso il basso di giovani e adulti rispetto a quello verso l’alto di anziani e grandi anziani, per cui nei prossimi vent’anni gli under 30 scenderanno di quasi due milioni e gli over 80 aumenteranno di 1,6 milioni. Ogni generazione deve riuscire a valorizzare tutte le fasi della vita, soprattutto gli anziani che vivono la fase finale, caratterizzata principalmente da perdite. Risulta da una ricerca dell’Università Cattolica che, a parità di età, si sentono anziane le persone che perdono autonomia, coniuge o stimoli, mentre i criteri classici per sentirsi “vecchi”, come il superamento dei 65 anni, il pensionamento e il diventare nonni, sono sempre meno validi: la maggior parte degli italiani tra 65 e 74 anni, ad esempio, non si sente ancora anziana.
(Sintesi redatta da: Balloni Flavia)