Viviamo in un paese fortunato: l'Italia è da anni ai vertici delle classifiche degli indicatori sanitari mondiali, con la maggiore aspettativa di vita dopo il Giappone e tassi bassissimi di mortalità materna e infantile. Non solo: se andiamo in ospedale per un accertamento o un ricovero non ci vengono chiesti né carta di credito né certificato assicurativo. Tutto questo grazie al Servizio sanitario nazionale, un sistema universalistico che non discrimina in funzione di sesso, razza, religione, livello economico-sociale. Da tempo però la nostra sanità pubblica sta attraversando una gravissima crisi. I medici cominciano a scarseggiare, molti di quelli che oggi praticano la professione sono insoddisfatti. A questo stato d’animo fa fronte un analogo disagio da parte dei cittadini, che non discutono quasi mai sulla competenza tecnico-professionale dei sanitari, ma spesso rimproverano loro la mancanza di empatia e la scarsità di tempo dedicato ai pazienti. Ciò produce il paradosso che, a fronte di grandi professionalità e strumenti tecnologici evoluti, sicuri ed efficaci, si ricorre sempre più spesso a pratiche alternative di scarsa o nulla scientificità, i cui operatori però si dedicano ad un ascolto più attento delle esigenze dei pazienti. Ma, al di là del disagio psicologico, le vere difficoltà sono strutturali: il ritardo culturale, organizzativo e gestionale che caratterizza oggi nel nostro paese le strutture sanitarie.
(Sintesi redatta da: Mamini Marcello)