Il cuore della questione pensionistica in molti Paesi si gioca sul fatto che le pensioni sono eccessive rispetto ai versamenti. In pratica, l’età in cui si accede al vitalizio è troppo anticipata rispetto all’attesa di vita residua in cui sarà percepito.
La questione non è solo di tipo tecnico, altrimenti non si spiegherebbe come le proteste che in questi mesi affollano le piazze in molti Paesi riguardino sia i sistemi a ripartizione (chi lavora trasferisce del reddito a chi è in pensione) che i sistemi ad accumulazione (chi lavora versa una parte del proprio reddito che viene investito in attesa della pensione). Non a caso in Italia, dove vige un sistema a ripartizione, è sempre più aspro il dibattito sulla riforma Fornero e sulla cosiddetta quota 100. Analoga situazione ha riguardato la Francia, dove sono esplose le proteste per la riforma del sistema pensionistico, già rinviata da tempo, e che ha portato in piazza persone di tutte le età, classi sociali e categorie produttive, inclusi i professionisti, i lavoratori autonomi e le forze dell’ordine. Analoga la situazione della Russia, dove si procede con modifiche ai requisiti di accesso che allungano l’età di pensionamento e riducono i trattamenti con forti proteste di piazza. Quanto ai sistemi pensionistici ad accumulazione, non è meno in crisi quello statunitense che può reggere solo se i prezzi delle attività finanziarie crescono senza sosta. Lo stesso accade in Cile dove si ha il problema della numerosità delle pensioni di importo minimo.
La causa di questi processi si deve ricercare nelle fasi altalenanti della “transizione demografica”. Fino alla Grande Guerra e in Occidente il numero di nascite e di decessi aveva un saldo naturale prossimo allo zero, ossia la popolazione cresceva molto poco. I trasferimenti pensionistici duravano pochi anni. Dagli anni Trenta e nel primo Dopoguerra, con il calo dei decessi (per i progressi delle medicina, dell’igiene,dell’alimentazione) e l’esplosione delle nascite, si inaugura un periodo in cui vi sono molti giovani e pochi anziani . In Italia all’epoca vi erano otto giovani per ogni anziano. Le pensioni pesavano quindi poco sul reddito dei giovani. Se, per esempio, il reddito dei giovani e quello dei pensionati fosse stato eguale, ogni pensionato in un sistema a ripartizione sarebbe costato un ottavo del reddito dei giovani occupati.
Negli ultimi decenni e ancora fino al 2030 siamo al di sotto dei due nati per donna mentre continuano a vivere quelli nati prima, tanto che fino al 2030 le previsioni indicano la permanenza del rapporto di due giovani per ogni anziano. Le pensioni pesano perciò molto sul reddito dei giovani e il peso varia a secondo della produttività raggiunta in ogni singolo Paese. Questo andamento proseguirà anche nel periodo successivo al 2030, almeno fino a quando, per effetto del passaggio a miglior vita della generazione dei baby boomers, non si contrarrà il numero degli anziani in carico ai versamenti contributivi delle fasce di popolazione in attività.
Anche se nel lungo periodo la transizione demografica continuerà, quindi, a far emergere il tema previdenziale come centrale nelle politiche di welfare. Quello che i Governi dovrebbero evitare, soprattutto con politiche mirate e innovative, è che tutto ciò si traduca in un conflitto fra generazioni. Visto che sulle dinamiche demografiche si può incidere solo nel lungo periodo, bisognerà puntare sul favorire il pieno impiego per le giovani generazioni e per le donne al momento ancora troppo poco coinvolti nel mercato del lavoro.