L’uso dei robot nell’assistenza agli anziani si sta estendendo in tutto il mondo, ma le relazioni fra anziani e robot possono sostituire quelle tra le persone umane? Di fatto, il robot imita l’amicizia e sono le persone con le quali interagisce a immaginarlo come amico. Le industrie robotiche stanno cercando persone che diano il volto a un robot per renderlo più antropomorfico. Per questo, richiedono specifici requisiti, tra cui lineamenti gentili e amichevoli, in modo da favorire una percezione positiva da parte degli anziani che riceveranno la sua assistenza.
C’è dunque una ricerca sull’antropomorfizzazione del robot. È vero che il robot, nelle sue evoluzioni più sofisticate, ha una serie di capacità: conversa, fa fare ginnastica, e ha molto successo nei casi di demenza senile, perché riesce a tenere l’anziano in energia e a scandire bene le sue giornate. La robotica è inoltre molto utilizzata in modo interattivo per ricordare agli anziani di assumere i loro farmaci, ma se il robot sa leggere un giornale non è certo in grado di fare un commento.
Sulla base del recente sviluppo tecnologico e delle sfide ancora irrisolte, i robot, entro i prossimi due decenni, non possono sostituire il personale che si occupa di assistenza, ma piuttosto rimangono riconoscibili come macchine. I robot possono essere utilizzati solo per supportare il personale delle strutture di cura con compiti ben definiti e gestire variazioni minori di questi compiti. I punti di forza certo sono molti. Per sintetizzare, il robot è preciso, supera l’errore umano, fornisce delle prestazioni standardizzate, e per questo, dal punto di vista della sua programmazione, è affidabile. I punti deboli invece consistono nella sua incapacità di provare delle emozioni autentiche. Nonostante ci sia una linea di robotica che cerca di empatizzare i robot, fino ad ora, il robot non è capace di dare risposte empatiche, non riesce a mettersi nei panni dell’anziano.
Sostituire il robot alle relazioni interpersonali è un rischio. È necessario che la programmazione del robot preveda e promuova le relazioni umane. Da qui la nascita della «robotica sociale integrativa». Si tratta di un metodo per progettare delle applicazioni operative nell’assistenza sociale, culturalmente e socialmente sostenibili. La robotica sociale integrativa si fonda su alcuni principi basilari. Anzitutto si concentra sullo studio delle interazioni umano-robot provando a modificarle dall’esterno, per ottenere alternative più sostenibili e umane; richiede un coinvolgimento di tutte le discipline (ingegneria, informatica, sociologia, psicologia, antropologia, ecc.); ritiene che le applicazioni dei robot devono rispettare la massima di «non sostituzione»: i robot sociali possono fare solo ciò che l’anziano dovrebbe fare, ma non può fare a causa di vincoli.
Dunque i robot devono essere progettati tenendo conto di accessibilità, modularità, semplicità e accettabilità. Le soluzioni robotiche non dovrebbero mirare a far sì che i robot siano percepiti come compagni. L’anziano vuol infatti vedere riconosciuta la sua umanità, tanto che nelle esperienze di uso della robotica gli anziani mostrano una sofferenza proprio nel non riuscire a riscontrarla.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)