Il presente lavoro riporta i risultati di una ricerca svolta presso l’Ambulatorio del Gioco D’Azzardo Patologivo (GAP) di una asl del territorio romano. La ricerca è stata condotta attraverso 14 interviste semi-strutturate ai pazienti in cura presso il Servizio per le Dipendenze (SERD), con l’obiettivo di analizzare il ruolo della famiglia dei giocatori d’azzardo nel periodo di cura e trattamento da gioco d’Azzardo patologico. L’intervista ha riguardato tre aree specifiche: il profilo socio-anagrafico; la composizione del nucleo familiare; il rapporto tra i familiari e il gioco d’azzardo patologico, focalizzando l’interesse sul quest’ultima, per comprendere se vi fosse piena consapevolezza del fatto che si tratta di una vera e propria patologia. L’intervista ha riguardato 14 pazienti che sono stati in cura presso il Gap , tra aprile e giugno del 2017; gli intervistati erano in prevalenza uomini con un’età tra 21 e 76 anni, in metà dei casi conviventi o coniugati e per il resto celibi, separati o vedovi.
Questo dato è fondamentale perché in base ad esso cambia il significato che i pazienti attribuiscono alla parola “famiglia”: per i celibi/nubili e separati, si tratta di quella di origine, mentre per i coniugati o conviventi distinguono tra famiglia attuale e di origine, infine i vedovi considerano famiglia i propri figli. Riguardo comunque al ruolo della famiglia, quasi tutti concordano che il supporto dei familiari sia fondamentale per risolvere il problema, non solo al momento di avviare un percorso di cura, ma anche nell’accompagnarlo. Forte è per i pazienti il bisogno di sentirsi adeguatamente compresi dai propri cari. Per far sì che la famiglia possa giocare questo ruolo di salvataggio, è necessario che ci sia piena consapevolezza del carattere patologico della condizione, occorre inoltre che, laddove si sia creata una situazione di forte incomprensione o mancanza di fiducia, si lavori per ricucire lo strappo.
Il familiare deve svolgere un ruolo simile all’amministratore di sostegno, mentre l’operatore deve lavorare in sinergia con la famiglia del giocatore, partendo dal presupposto che il supporto familiare possa consentire lo sviluppo nel giocatore anche di una maggiore abilità di problem solving e possa diventare un fattore protettivo che influenza positivamente l’esito del trattamento.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)