La proposta delle Case della comunità intende intervenire sui fattori di frammentazione del sistema per provare a riportare in un luogo unico, vicino ai cittadini, diverse funzioni, sociali e sanitarie. Una missione non facile con il vantaggio di mettere al centro la rete dei servizi del territorio, più prossimi al cittadino, cioè la comunità. Ma con molti rischi: il ritorno ad un modello del passato come gli ambulatori delle mutue. La scarsità di formazione del personale medico/sanitario ad affrontare questo nuovo tipo di organizzazione. L’infermiere di quartiere, fulcro di questo passaggio della riforma, è una figura non consolidata. Senza parlare del problema puramente economico e di risorse umane.
Una ricerca di Rete Welfare Responsabile ha cercato di ricostruire la filiera delle responsabilità, ossia l’habitat nel quale attuare un percorso di salute di prossimità. Ne uscirebbero coinvolti: il domicilio (con i caregiver); il territorio (infermieri di comunità e di famiglia, ADI, cittadinanza); la semi-residenzialità (centri diurni e simili); la residenzialità (Rsa, case protette, cohousing…). Tutti servizi e soggetti che partecipano ai processi di costruzione della salute e che per questo devono essere interconnessi tra loro. Inoltre, un sistema integrato è maggiormente in grado di rispondere ai bisogni complessi, come le patologie croniche e la non autosufficienza.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)