La “casa come primo luogo di cura” è la scommessa più difficile nella riorganizzazione assistenziale del territorio. L’obiettivo è prendere in carico l'assistenza domiciliare integrata (Adi), entro la metà del 2026, il 10% della popolazione over 65 e oggi l’Italia – che ha ricevuto già nel 2019 una raccomandazione in merito dalla Commissione Europea – parte da livelli minimi con meno di 20 ore l’anno per utente. Ne derivano ospedalizzazioni improprie di migliaia pazienti che potrebbero essere seguiti più utilmente a domicilio, con maggior sollievo, minori spese per le famiglie e per il Servizio sanitario nazionale, ma anche con i benefici di una ridotta esposizione a rischi concreti come quello delle infezioni contratte in ospedale.
Il ministero della Salute punta a scalare la classifica europea dell’Assistenza domiciliare integrata, rimontando dall’attuale 4% per superare i modelli Svezia e Germania che oggi si attestano sul 9 % (la media Ocse è del 6%). Tradotto in numeri, questo intervento consentirà di prendere in carico da qui a cinque anni 800mila persone in più. Destinatari sono gli anziani con una o più malattie croniche e i non autosufficienti ma servirà una vera e propria rivoluzione nella formazione dei professionisti sanitari e nei modelli organizzativi e culturali dell’assistenza. La telemedicina sarà un tassello fondamentale, purché sia resa praticabile da un'infrastruttura complessiva che metta in rete le Centrali operative territoriali (Cot), le Asl e i distretti e consenta il collegamento costante con l'ospedale e con il medico curante.
Ma la non autosufficienza è un tema che deve fare i conti con questioni molto pratiche come la carenza di personale: basti pensare che oggi mancherebbero ben 50mila infermieri (i sanitari maggiormente impegnati nell'Adi, l’assistenza domiciliare integrata) e che i tempi della formazione sono necessariamente lunghi. L’Italia è tra i Paesi più vecchi al mondo: sono 2,8 milioni gli anziani non autosufficienti, il 20,7% del totale degli anziani e l’81% dei non autosufficienti nel Paese, con un rischio fragilità che supera il 40% oltre gli 80 anni.
Nel 2040 si stima che gli anziani in Italia saranno oltre 19 milioni e 28 milioni i cronici. Di positivo c’è però che il Pnrr – sollecitato dalle associazioni che dagli anni Novanta chiedono una riforma organica sociosanitaria e sociale degli interventi a favore dei pazienti – prescrive la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni entro la primavera del 2023. L’attesa riforma del Welfare che riconduca a unità gli interventi assistenziali, sociali e previdenziali è la pietra miliare da aggiungere.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)