I fondi previsti nel Pnrr per l’assistenza agli anziani non autosufficienti sono un buon punto di partenza, ma il successo della riforma dipenderà tutto dalla sua attuazione. Nel campo delle Rsa, infatti, gli enti del privato sociale gestiscono oltre il 65% dei posti disponibili, mentre il 15% circa sono a gestione comunale e il resto in mano a imprese for profit. Peraltro, c’è un forte squilibrio territoriale tra le strutture residenziali, la maggior parte delle quali si concentra nel Nord e nel Centro Italia, con una copertura molto più rarefatta al Sud e nelle Isole.
Per Franco Massi, presidente di Uneba, i fondi destinati alla riconversione delle Rsa potranno andare a beneficio anche delle strutture esistenti, molte delle quali peraltro hanno già sviluppato mini-alloggi nelle proprie vicinanze ed esperimenti di co-housing. Quanto alle Case della comunità, i 1.288 punti d’accesso ai servizi sanitari e socio-assistenziali che il Pnrr prevede entro il 2026, come luoghi di coordinamento fra tutti i servizi, in particolare ai malati cronici, potrebbero essere ospitati dalle Rsa, con progetti pilota che consentano di aprire queste strutture al territorio.
Le risorse previste dal Pnnr sono consistenti, ma per Stefano Granata, presidente di Confcooperative-Federsolidarietà «considerando l’andamento demografico, 3,5 miliardi potrebbero rivelarsi pochi. Nel mettere in pratica la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti - aggiunge - sarà importante non considerare l’anziano solo come un problema sanitario, ma riuscire a sviluppare un’assistenza integrata, fra ambito sociale e sanitario».
Legacoopsociali sostiene l’importanza di una riforma che metta al centro i bisogni dell’anziano e non i servizi da erogare, che oggi spesso si sovrappongono tra vari livelli anche amministrativi senza il necessario coordinamento. Un vulnus del Pnrr, infatti, è quello di continuare a suddividere gli interventi sociali e quelli sanitari in due missioni distinte.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)