Si vive una volta sola e la pandemia ce lo ha ricordato in maniera ancora più accentuata negli ultimi anni. Al punto che in molti si chiedono se valga davvero la pena lavorare fino a tarda età. E a chiederselo sono soprattutto gli statunitensi. Almeno a considerare i dati del triennale Labor Market Survey, una rilevazione del Center for Microeconomic Data della Federal Reserve di New York.
Ebbene, per la prima volta in oltre tredici anni, questo studio sottolinea che dal marzo 2020 in poi è iniziata la diminuzione di quanti si aspettano di lavorare ancora una volta raggiunti i 62 e i 67 anni di età. E questo a prescindere dall’età attuale, dal livello di istruzione e dal reddito. Sorprendentemente, anzi, le persone senza una laurea e con redditi annuali al di sotto dei 60mila dollari sono quelli che fanno registrare cali più consistenti nell’aspettativa di un maggior numero di anni di lavoro. Tra le donne si registra poi un declino maggiore che tra gli uomini. In generale, solo il 45,8% dei lavoratori si aspettano di lavorare ancora oltre i 62 anni, contro una media del 54,6% dei sei anni precedenti la pandemia di Covid.
Cali simili, anche se più attenuati, per le aspettative di lavoro a tempo pieno oltre i 67 anni, con diminuzioni delle probabilità medie di 2,9 punti percentuali. Da notare che negli Usa si può usufruire di trattamenti pensionistici a partire dai 62 anni, purché si abbiano almeno 10 anni di contributi, oppure si può aspettare fino ad un massimo di 70 anni.
L’età per il cosiddetto “full retirement” negli Stati Uniti è 66-67 anni. Certo, al di là delle intenzioni rilevate dal Center for Microeconomic Data bisognerà poi capire se e come gli statunitensi che aspirano alla baby-pensione potranno davvero poi permettersela, e quali conseguenze questo avrebbe sul welfare pubblico, ma la tendenza è comunque interessante e mostra come il fenomeno delle “grandi dimissioni” seguito al Covid non sia l’unico ad aver inciso, dal punto di vista sociale, sul mercato del lavoro.
(Fonte: tratto dall'articolo)