Gli anziani sono tra le categorie più a rischio per quanto riguarda gli effetti negativi dell’uso eccessivo dell’alcol. Il motivo deriva dalla ridotta capacità del loro organismo di metabolizzare le sostanze alcoliche, in quanto – col passare dell’età -, alla riduzione del funzionamento di alcuni organi come cuore e fegato, si accompagna la diminuzione della quantità della massa acquosa. Conseguentemente, per l’organismo diventa sempre più difficile smaltire l’alcol assunto.
In Italia, negli scorsi anni si è verificata una situazione di rischio, dovuta ad una scarsa informazione sull’argomento, e ad una eccessiva enfasi sulle abitudini alimentari mediterranee, che prevedono l’assunzione di una quantità, sebbene moderata, di vino durante i pasti. Tuttavia, dai dati relativi al 2018 risulta che le campagne di sensibilizzazione hanno prodotto i loro frutti, segnando una generale tendenza alla diminuzione nei consumi, anche se i numeri riferiti ai cosiddetti grandi anziani, parlano ancora di circa 260.000 ultra 85enni che nel 2016 hanno adottato un comportamento a rischio per la propria salute (rapporto ISTISAN 2018).
Nonostante i luoghi comuni e le campagne pubblicitarie che fanno dell’alcol assunto con moderazione quasi un toccasana per gli anziani, è sempre utile ribadire che non può essere usato come farmaco né come mezzo di prevenzione, così come peraltro da anni sancisce la legge 30 marzo 2001, n.125, che vieta espressamente la pubblicità di bevande alcoliche e superalcoliche alle quali sia attribuita efficacia terapeutica. A meno che tale efficacia non sia espressamente riconosciuta dal Ministero della Sanità.
Ciò detto, riguardo al tema, a fronte di un quadro più generalizzato, dobbiamo ricorrere anzitutto alla necessaria distinzione tra coloro che, abituali consumatori d’alcol in giovane età, continuano a mantenere abitudini pregresse anche nella seconda parte della loro vita e gli alcolisti tardivi, ossia coloro che iniziano a bere solo in tarda età. Questi ultimi rappresentano in effetti una minoranza, che vede nell’alcol un aiuto per fronteggiare i problemi derivanti dall’avanzare della vecchiaia; in particolare se ne servono per sedare l’ansia, come antidepressivo e come disinibente, quando si trovano in situazioni di socializzazione davanti alle quali si sentono ormai inadeguati.
È pertanto diffusa tra queste persone l’abitudine ad assumere etanolo in modo metodico e continuativo, eventualmente in concomitanza a farmaci. Gli alcolisti tardivi sono anziani che soffrono di un disagio psicologico, dovuto alla perdita dei punti di riferimento abituali (magari a causa di un trasferimento in altra abitazione o in casa di cura), o al venir meno di un affetto (lo stato di vedovanza, ad esempio) o anche per un sentimento di solitudine e malinconia, pur essendo di fatto ancora inseriti in un ambito familiare protetto. Generalmente, si tratta di persone che in età adulta non hanno mai manifestato problematiche di questo tipo ed anzi hanno affrontato di petto le avversità della vita. Pertanto se il medico è in grado di riconoscere le loro esigenze, che il più delle volte non vengono espresse, questi pazienti possono rispondere positivamente a semplici tecniche di sostegno psicologico e di socializzazione, dimostrando di uscire dalla dipendenza.
Gli anziani che sono diventati alcolisti, tuttavia, possono più facilmente collocarsi, rispetto agli altri anziani, in alcune caratteristiche aree di rischio come il pericolo di cadute e di fratture invalidanti. Questo accade non solo per la perdita di massa ossea dovuta al fattore osteoporosi, ma anche per la perdita del riflesso di protezione, condizione abbastanza frequente negli ultrasettantenni. Questa facilità nelle cadute può essere peraltro agevolata dall’abitudine, da parte dell’anziano, ad assumere farmaci (spesso in alta quantità e più volte al giorno), contemporaneamente all’assunzione di alcol etilico. Circostanza che, se da un lato mina la capacità del farmaco stesso, dall’altro rischia di aumentare i cosiddetti effetti indesiderati, tra i quali, appunto, può facilmente attribuirsi un aumento ulteriore del rischio di incidenti e di cadute, particolarmente nel caso in cui si tratti di assunzione di psicofarmaci.
Altra aerea di rischio per l’etilista tardivo risulta essere quella della malnutrizione dell'età involutiva, condizione diffusa nel Paese, ma non ancora adeguatamente approfondita. Si tratta di anziani che vivono in ristrettezze economiche, si nutrono poco o male, tanto da essere a rischio di una vera e propria malnutrizione, e che, in un circolo vizioso di causa ed effetto, ricorrono all’alcol per sfuggire ad una realtà fatta di emarginazione e solitudine.
Poiché l’insorgenza del fenomeno dell’alcolismo tardivo è legata a fattori circostanziali, per evitarne l’insorgere, è necessario agire in maniera preventiva, a partire dal periodo che precede il pensionamento, evitando all’anziano di trovare dopo tale momento un’esistenza vuota e priva di stimoli. Una volta che però l’abitudine è insorta, è necessario intervenire con tecniche di socializzazione ed interventi di sostegno psicologico, che spesso risultano efficaci nell'aiutare queste persone a combattere con successo le cause che hanno dato inizio all'abuso alcolico.
(Fonte: www.geragogia.net)