La Consulta ha stabilito che il «diritto all’affettività» non si perde con l’avanzare degli anni e nessuno, nemmeno lo Stato può sindacare le ragioni di un matrimonio in tarda età. Tantomeno qualcuno deve essere sospettato di voler frodare l’erario in caso di coniuge molto più giovane. E’ così stata dichiarata incostituzionale la disciplina del 2011, in gergo chiamata Norma anti –badante, che mise un freno alle pensioni di reversibilità. La sentenza segnala un’evoluzione della società italiana e tutela sul piano previdenziale il diritto degli anziani a vivere liberamente i propri affetti. La norma dichiarata contraria alla Costituzione è l’articolo 18, comma 5, del decreto legge n.98/2011, voluto dall’allora ministro dell’Economia Tremonti per frenare le nozze tra anziani signori e giovani badanti, che, in assenza di altri eredi, avrebbero potuto godere per decenni della pensione di reversibilità a spese dell’Erario. La sentenza della Corte ribalta il pregiudizio negativo che ispira la norma del 2011 e ne contesta l’irragionevolezza perché «enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo». La Consulta infatti definisce «inaccettabili le limitazioni basate su un dato meramente naturalistico quale l’età» sottolineando che non è consentito «interferire con le scelte di vita dei singoli, espressione di libertà fondamentali».
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)