"Il pensiero dominante è che gli anziani non abbiano più nulla da dare alla società e che siano un peso economico per le generazioni più giovani. Questo pensiero è fondato sopra lo stereotipo occidentale secondo cui i contributi alla società siano dati solo dagli individui strutturati all’interno del sistema macroeconomico e, cioè, da coloro che possono essere considerati come forza lavoro disponibile sul mercato. Dal momento che la capacità di produrre forza lavoro declina con l’età, gli anziani non hanno più nulla da offrire.
Invece si dovrebbe porsi in una prospettiva ove l’anziano non sia visto esclusivamente come una categoria da proteggere mediante diritti speciali, ma un cittadino portatore di diritti come tutti gli altri cittadini del nostro Stato. Ed in quanto cittadino, ma non specie protetta, l’anziano può continuare ad operare all’interno di quella stessa società che lo ha visto attivo e partecipe del mondo produttivo e all’interno della quale può ancora costituire una risorsa a patto che si instauri, o meglio si restauri, “una cultura dell’anzianità”.
Per raggiungere finalità concrete e contrastare gli attuali stereotipi sugli anziani, questa nuova cultura della vecchiaia dovrebbe entrare in ogni spazio della società e divenire al contempo formazione continua degli individui indipendentemente dall’età e dalla posizione sociale. Dall’altro lato l’inserimento degli anziani in attività produttive quali l’insegnamento dei vecchi mestieri che vanno perdendosi, attività artigianali che sono sul punto di scomparire
del tutto, potrebbe contribuire al mantenimento di una cultura millenaria che non deve assolutamente andare perduta. L’anziano, con il suo bagaglio di competenze, con il suo patrimonio di esperienza e di memoria storica, è l’anello di raccordo tra il passato e il futuro". (Fonte: tratto dall'articolo)