… non resta che chiederci: “Che cos’è una canzone?”
E per rispondere, ricorriamo alle parole più autorevoli che conosciamo: “Un’opera compiuta di chi compone parole in armonia tra loro, in vista di una modulazione musicale”. Era questa infatti la definizione di canzone che l’Alighieri, alla fine del Duecento, proponeva nel suo “De vulgari eloquentia”. Dante era un poeta e della musica delle parole se ne intendeva. Tecnicamente riconosciamo che questa definizione soddisfa anche noi moderni. Se non altro perché ci dice tutto dal punto di vista dell’autore, e con la massima semplicità. Ma, ai fini della nostra ricerca, non basta. Forse dovremmo ridefinire l’oggetto canzone, ponendoci, non dal punto di vista dell’autore, ma da quello di chi riceve la canzone, ossia dal punto di vista del fruitore. Come? Considerandola, per esempio, la trascrizione più semplice ed immediata - e, proprio per questo attendibile - dei sentimenti, delle aspirazioni e delle pulsioni della gente in un certo momento della sua vita. E, aggiungerei, come uno degli strumenti più rapidi ed economici che abbiamo per sondare umori, febbre e cuore delle diverse epoche.
In definitiva, dal nostro punto di vista, la canzone potrebbe assumere la valenza di una fotografia o di un filmato d’epoca: diventerebbe un block notes fatto di quel tessuto impalpabile che è la memoria. Potremmo aprirlo con facilità (ci basta canticchiare due o tre parole di un refrain!) e, sfogliandolo, avere la bella sorpresa di trovarci di fronte a squarci illuminanti della nostra storia personale e collettiva. (Fonte: www.50epiu.it)