La guerra del Covid sta alimentando un’altra pandemia, non meno devastante e carogna: quella della solitudine.
Essere in relazione con l’altro è ossigeno per l’individuo, ma il coronavirus l’ha fatto diventare una minaccia, come segnala lo psicanalista Massimo Recalcati. Questo ha costretto tutti a sperimentare il peso dell’isolamento, molti a viverlo sulla propria pelle nella malattia, troppi perfino nell’estrema ora della morte.
Ma non è stato il virus a creare il fenomeno, semmai l’ha esasperato: da ben prima gli stili di vita hanno alimentato il dramma dell’essere soli, di sentirsi tagliati fuori, di non avere nessuno cui rivolgersi nello stato di bisogno; non soltanto materiale. I dati lo segnalano da anni e l’Italia è nelle posizioni di testa di questa deriva: 8 milioni e mezzo di persone vivono da sole; e tra queste, 4 su 10 hanno più di 75 anni. Il 13% degli anziani soffre di totale isolamento, senza nessuno cui poter chiedere aiuto: una percentuale più che doppia rispetto alla media europea. Per il mondo attorno a loro, sono fantasmi di cui ci si accorge soltanto quando muoiono al buio, spesso a distanza di giorni, come documentano con regolare quanto drammatica sequenza le cronache. In molti casi l’inferno della solitudine è legato a una condizione di povertà, ma non soltanto: nell’era della connessione globale e permanente, abbiamo cessato di sentirci comunità per ridurci a una sommatoria di individui isolati, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione sociale.
Siamo connessi alla Rete, ma disconnessi dal mondo. È anche il frutto di una non-cultura della persona legata alla misura della sua utilità. Resta ancor oggi una bestemmia laica, la frase pronunciata da un governatore di regione sugli anziani over 75, definiti “non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Un disprezzo della dignità della persona, per fortuna compensata da scelte che vengono da chi gestisce la cosa pubblica nel territorio: come nel caso del Comune padovano di Villa del Conte, che già prima del Covid aveva dato vita a un assessorato alla Solitudine; imitato in questi giorni da due altri municipi veneti, Povegliano Veronese e Montegalda nel Vicentino. Non un provvedimento ideologico e di facciata, ma concreto: fatto di una presenza quotidiana a fianco di chiunque manifesti il bisogno di un accompagnamento. Con un messaggio semplice ma formidabile: piccoli gesti possono esprimere un’appartenenza profonda. Che è poi l’abicì del vivere. Se curare a volte è impossibile, prendersi cura è alla portata di tutti: semplicemente nel nome dell’uomo. Ricordando il messaggio di Albert Camus: non essere amati è una sfortuna, non saper amare una tragedia.
(Sintesi redatta da: Mayer Evelina)