Alcuni ricercatori del King's College di Londra sostengono che negli ultrasessantacinquenni alcuni geni devono funzionare bene affinché si possa prevedere un "invecchiamento sano". Se l'età biologica fosse più alta del previsto, con rischio di sviluppare la demenza senile, sarebbe quindi possibile avviare immediatamente delle terapie che, in via sperimentale, stanno dando risultati incoraggianti. Nel caso in cui l'età biologica fosse invece più bassa, la persona in questione potrebbe rimanere tra coloro che possono donare organi anche dopo i 70 anni. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Genome Biology, sottolinea come i risultati raggiunti potrebbero avere applicazioni rivoluzionarie sulla sanità pubblica, sulle pensioni e sulle assicurazioni. «C'è una “firma” dell'invecchiamento sano comune a tutti i nostri tessuti e che risulta essere indicativa per una serie di cose, tra cui la longevità e il declino cognitivo», ha spiegato il professore Jamie Timmons del King's College alla BBC, aggiungendo: «Sembra che dai 40 anni in su si possa usarlo per fare luce su come un individuo sta invecchiando». Il lato più inquietante della ricerca è quello che permette di valutare la durata di vita, come emerso da una ricerca condotta in un arco di 20 anni su un gruppo di uomini svedesi di 70 anni. Tra di loro gli scienziati hanno stabilito chi stesse invecchiando bene e chi, invece, rischiava di morire negli anni successivi. Una delle applicazioni più interessanti è sicuramente quella sull'Alzheimer, poiché il test sui geni, insieme ad altre analisi, consentirebbe di identificare chi rischia di sviluppare la malattia degenerativa e sottoporlo fin da subito a trattamenti preventivi.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)