Nel 1951, in Italia per ogni bambino sotto i 15 anni c'era meno di una persona con 65 anni o più. Nel 2021 ce ne sono 5,4 (ed erano già 3,8 nel 2011). Questo dato, tratto dall'ultimo rapporto Istat sul censimento permanente, sintetizza la radicalità, e velocità, del mutamento demografico avvenuto nell'arco di una generazione: quella degli attuali nonni, rispetto a quella degli attuali nipoti. Un mutamento che riguarda la struttura per età non solo della popolazione, ma anche della famiglia e della parentela, quindi anche l'esperienza del crescere e dell'invecchiare.
Il processo di invecchiamento della popolazione, così come la sua riduzione numerica (fortemente accelerata dall'incremento della mortalità dovuto al Covid nel 2020 e ancora nel 2021) è parzialmente rallentato dal contributo degli stranieri. Questi sono, infatti, mediamente più giovani, il che implica anche che tra loro la presenza di chi è in età riproduttiva è maggiore che nella più anziana popolazione italiana. Ma questo contributo, dopo anni di progressivo aumento, sta riducendosi, sia perché il loro numero è in diminuzione, sia perché anche il loro tasso di fecondità tende a ridursi, avvicinandosi a quello degli italiani.
Declino demografico e rapido invecchiamento della popolazione hanno conseguenze sul piano non solo dei costi economici e sociali (sanità e pensioni) ma anche degli stessi equilibri familiari, dove i bisogni di cura in età anziana possono eccedere la disponibilità dei (più spesso delle) potenziali caregiver. È anche una fra le cause della scarsa disponibilità all'innovazione, non sono tecnologica, ma di visione del mondo e di definizione delle priorità.
Ne è un indizio la ricerca del consenso di quei politici e partiti pronti a indebitare sempre più le generazioni future con regali pensionistici a favore di alcune categorie di anziani (vedi quota 100 prima e ora 103) o agitando la bandiera dello smantellamento della riforma Fornero che, se non altro, aveva il merito di introdurre un po' di equità intergenerazionale.
Utilizzando i dati delle anagrafici il censimento offre anche alcuni dati su tre gruppi di popolazione che non vivono in abitazioni "standard": a) le persone che vivono in collettività (Rsa, case di riposo, istituti religiosi, strutture di accoglienza per immigrati); b) quelle che risiedono in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei; c) le persone senza tetto e senza fissa dimora.
Si tratta di un po' meno di mezzo milione di persone, probabilmente sottostimate perché non tutti i senza dimora sono iscritti all'anagrafe della città in cui vivono e non tutti gli anziani in una Rsa vi risiedono anche da un punto di vista anagrafico.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)