La questione demografica è entrata nell’orizzonte delle imprese, sempre più spesso alle prese con difficoltà nel trovare il personale di cui hanno bisogno. Peraltro, più ancora del disallineamento tra le attese della “domanda” e dell’“offerta” e dei fenomeni di disengagement e disaffezione gli scenari demografici giustificano l’apprensione del mondo delle imprese. Nell’imminente transizione al pensionamento delle coorti di baby boomers, venuti al mondo in anni in cui le nascite erano ben più del doppio rispetto ad oggi, il turnover degli organici non può essere dato per scontato.
E ciò non solo per le posizioni che da tempo scontano un deficit di offerta dovuta all’onerosità delle mansioni e alla carenza di competenze ed esperienza specifiche: è la “semplice” insufficienza numerica dei candidati disponibili, o comunque attivabili, a costituire una pietra di inciampo ai percorsi di consolidamento e sviluppo delle imprese di molti settori; per non parlare del fabbisogno di lavoro di cura espresso da famiglie e istituzioni socio-assistenziali, destinato a lievitare ulteriormente con la crescita delle persone anziane.
Una situazione che appare ancor più sfidante se si considera che l’Italia – penalizzata dai suoi bassi salari – dovrà competere con molti altri Paesi per attrarre (e trattenere) risorse umane con vari livelli di qualificazione: dagli operai della logistica e delle costruzioni ai medici e agli specialisti della transizione green. È in tale quadro che va collocata l’analisi del ruolo dei lavoratori stranieri e delle politiche che lo governano.
In primo luogo, vanno considerate le opportunità utili a favorire un salto di qualità nell’approccio al lavoro immigrato attraverso il ricorso ai cosiddetti “ingressi fuori-quota”, ovvero le nuove norme (Dlgs 152/2023) che disciplinano, ampliandone l’applicabilità e semplificando le procedure, gli arrivi tramite Carta Blu. Un canale strategico per l’attrazione di lavoratori qualificati, ma sottoutilizzato (poco più di 2.500 ingressi in dieci anni) e addirittura sconosciuto a molte imprese.
Esiste poi il “decreto-Cutro” per l’accesso di coloro che partecipano a programmi di formazione nei Paesi d’origine: soluzione onerosa e non generalizzabile, ma utile a intercettare i fabbisogni soggetti a difficoltà di reclutamento, nonché a superare la ritrosia ad assumere chi non si è potuto testare con un periodo di prova (prima causa di inefficacia del meccanismo delle quote). È indubbio che l’esigenza di un rinnovamento del quadro normativo e procedurale che disciplina gli ingressi programmati è indiscutibile.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)