Nel 2022, per la prima volta nella storia, vivranno in Italia più donne di 86 anni che bambine di meno di uno. E fra vent’anni le donne in età fertile, dieci milioni e mezzo all’inizio di questo secolo, saranno sei milioni. E poiché il numero di figli nati per ciascuna continua a calare, a uno dei livelli più bassi al mondo, questa demografia non è più un’ombra ma una realtà. Con le sue conseguenze.
Nei prossimi vent’anni infatti la popolazione in età da lavoro calerà di 6,8 milioni di persone, la popolazione in età di pensione aumenterà di 6,6 milioni, mentre i bambini fra gli zero e i quattordici anni scenderanno di 1,2 milioni. Questo squilibrio fra le età è difficile da mutare e in pochi sono disposti a sobbarcarsi i costi per invertire la rotta.
L’assegno unico varato dal governo è una misura civile come i nidi d’infanzia del Recovery sempre che ci saranno i fondi disponibili per pagarne il personale. Aiuta anche l’aver allargato per il 2021 l’immigrazione legale a 70mila persone, benché sia sempre poco in un Paese dove nascono ogni anno 300.000 persone meno di quante ne muoiano. In verità appare del tutto mancante la volontà politica di fare dell’Italia un Paese per giovani. L’approccio alle migrazioni appena più aperto di uno o due decenni fa oggi sembra un’eresia. Di spostare risorse verso il welfare familiare non se parla. Di dare più spazio e potere ai giovani nelle aziende neanche, tanto da spingerli ad emigrare all’estero.
Bisognerebbe perciò smettere di pensare all’Italia come al luogo che dovrebbe essere, per affrontarla come il luogo che in effetti è. A tal proposito – per elaborare un manuale di sopravvivenza produttiva, finanziaria e culturale - sarebbe utile tenere a mente tre buoni propositi. Smettiamo di chiamare "anziani" le signore e i signori fino ai 75 anni di età. Facciamo come raccomanda l’Istituto di Gerontologia dell’Università di Tokyo e chiamiamoli "pre-anziani". Quel "pre" segnala al resto del mondo che non devono essere necessariamente inattivi, che non bisogna farli sentire un peso per la società. Ci sono molte attività che si possono pensare per loro: lavori ritagliati per una "seconda vita", per chi vuole; ma anche più attività di quartiere, impegno nella società, più educazione da dare o da ricevere. In una parola, più dignità.
Nel contratto di governo di un altro Paese anziano come la Germania c’è il voto ai sedicenni. Se a molti questi non paiono maturi per votare, bisognerebbe spiegare loro in modo convincente che tutti gli adulti di mezzo invece lo sono. O magari bisognerebbe prendersi più responsabilità nell’impedire che videogame e social disarticolino definitivamente la capacità di ragionare degli adolescenti.
Infine, Daron Acemoglu e Pascual Restrepo sono due economisti che hanno studiato a fondo le conseguenze dell’invecchiamento. In Demographics and Automation mostrano che i Paesi dove esso è più avanzato fanno più ricorso alla robotica, per sostenere i ritmi produttivi in industrie fondate su lavoratori di mezza età. Lo fanno la Corea del Sud, la Germania, il Giappone. Lo fa molto meno l’Italia, dove il lento aumento annuale dei robot in fabbrica è una delle poche caratteristiche condivise con Paesi dal profilo demografico più dinamico. Anche questo ambito sarebbe suscettibile di miglioramento.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)