Cosa può comportare una mancata diagnosi di demenza nel paziente ospedalizzato e una mancata gestione proattiva delle possibili complicanze insite nella patologia stessa? Secondo Fick e Foreman (2000), 7 casi di delirium su 10 non vengono riconosciuti in ospedale. Avere un decadimento cognitivo, inoltre, aumenta il rischio di stato confusionale acuto, poiché l’incidenza del delirium è maggiore in soggetti con demenza rispetto a coetanei senza demenza.
Secondo Morandi (Morandi ed al., 2012), il delirium sovraimposto a demenza rappresenta il 65% dei casi di delirium in ospedale. Ne consegue che la mancanza di riconoscimento di demenza e di delirium influisce negativamente sulle scelte di prevenzione e trattamento del pazientericoverato. Pertanto, non riconoscere la presenza di decadimento cognitivo significa non comprendere i bisogni del paziente.
Ci siamo mai chiesti se il continuo lamentarsi dei pazienti, che spesso crea atteggiamenti di fastidio e irritazione negli operatori che lavorano in un clima che risente di tempi ristretti e continui tagli sanitari, non sia una modalità “diversa” per esprimere un dolore fisico? È noto, in letteratura, che agli anziani con decadimento cognitivo vengono prescritti meno analgesici rispetto ai loro coetanei sani. Vari fattori sono alla base di questo processo, tra cui una modalità differente di comunicare il proprio dolore fisico: agitazione, aggressività, vocalizzi e wandering, ad esempio, possono derivare da un sottostante problema algico.
Alla luce di tale dato, è evidente come un antidolorifico al bisogno può essere più efficace di un farmaco sedativo, che tra l’altro risulta essere inappropriato per i pazienti anziani (Beers Criteria).
I farmaci sedativi e gli antipsicotici, utilizzati per i disturbi comportamentali possono portare ad una eccessiva sedazione o all’insorgenza di delirium. Come per i test cognitivi, anche test comportamentali adibiti alla rilevazione del dolore nei pazienti con demenza, e non le scale analogiche, non vengano utilizzati.
Allo stesso modo, il misconoscimento di un bisogno fisiologico primario (andare in bagno, avere fame o freddo) può ingenerare un disturbo comportamentale come modalità di comunicazione. Un circolo vizioso che non fa comprendere la vera natura del bisogno del paziente.
Come possiamo afferrare un messaggio se non sappiamo che il paziente potrebbe comunicarlo in modo differente dalle comuni prassi? Non stupisce, quindi, che i pazienti affetti da demenza in ospedale abbiano più alti livelli di ansia e depressione rispetto ai loro coetanei sani; e che queste alterazioni del tono dell’umore e dell’ansia perdurino per più tempo, anche dopo le dimissioni. Inoltre un paziente agitato ha un maggior rischio di cadute. Come afferma il documento dell’Alzheimer Society (2016) “un marker chiave della qualità della cura che un individuo riceve in ospedale è la probabilità di avere una caduta durante la sua degenza”. Sempre secondo questo documento, la percentuale di pazienti ultrasessantacinquenni con demenza che aveva una caduta era superiore di oltre 2,5 volte negli ospedali poco attenti alle condizioni cognitive del paziente. Tale dato appare ancora più allarmante se si considera che i pazienti con demenza hanno una minore probabilità di sopravvivenza rispetto ai loro coetanei sani dopo una caduta (Wins, 2005).
Inoltre, una recente meta-analisi (Möllers, 2018) ha evidenziato come la maggior parte degli studi sottolinei che i pazienti affetti da demenza abbiano una più lunga degenza in ospedale rispetto ai loro coetanei sani; tale dato è stato confermato anche dal nostro gruppo di ricerca all’interno del progetto IDENTITA’ – Italian Dementia Friendly Hospital Trial di Dementia Friendly Hospital (DFH).
Ultima, tra le zone d’ombra ancora poco esplorate vi è quella relativa ai trattamenti farmacologici: è posta attenzione alla possibilità che alcuni farmaci compromettano ulteriormente la funzione cognitiva?
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)