Non siamo un Paese per vecchi. Quando l’autonomia vacilla e la solitudine aggrava i problemi la meta obbligata per trecentomila di loro è residenza sanitaria assistita. Questa scelta è da sempre oggetto di dubbi e sensi di colpa, in cui l’interessato non decide quasi mai. Bisognerebbe cambiare anche l’approccio di tipo ospedaliero verso le strutture, oggi che si parla di longevità attiva. Come dicono filosofi, geriatri e neurologi: la vecchiaia non è una malattia, il cervello è plastico e reagisce agli stimoli e si riattiva con le relazioni. Quindi un corretto stile di vita,la rete sociale, e la comunità possono garantire scenari da healthy aging, longevità sana, meno onerosa per famiglie e sanità pubblica. È una svolta che tocca le residenze, spesso viste come parcheggio assistenziale, che in certi casi è inevitabile (Alzheimer), ma potrebbero contribuire invece ad accelerare il processo, già avviato, in cui c’è la diminuzione della percentuale di anziani con menomazioni funzionali in una o più attività della vita quotidiana. Gli anziani, che in Italia sono 16 milioni, assorbono più della metà della spesa sanitaria e sei su dieci sono portatori di una o più malattie croniche. La deriva assistenzialista ha fatto di loro un mercato le cui storture vanno corrette. Per questo è importante conoscere limiti e qualità dell’offerta, come si propone l’inchiesta di Corriere salute. In futuro serviranno sempre più soluzioni residenziali per longevi attivi che dovranno essere capaci di produrre quei beni che chiamiamo relazionali.
(Sintesi redatta da: Flavia Balloni)