L’inverno demografico è l’inverno delle madri: sempre di meno, sempre più sole, sempre più ai margini del mercato del lavoro, inchiodate al careviging gratuito. Penalizzate non solo rispetto agli uomini, ma anche alle donne senza figli. Se davvero si vuole invertire la parabola discendente della natalità in Italia, è alla maternità che bisogna guardare. I numeri sono sotto gli occhi di tutti, a partire da quelli demografici: In Italia le nascite del 2022 sono precipitate a 392mila, l’età media al primo figlio è salita a 32,4 anni, il numero medio di figli per donna si è ridotto a 1,24 (contro 1,8 in Francia e 1,53 in Germania), i tassi di fecondità continuano a crollare tra le più giovani.
Per due terzi secondo l’Istat il calo delle nascite si deve all’«effetto struttura»: le donne tra i 15 e i 49 anni sono un milione in meno rispetto al 2008. Sono invece un milione in più rispetto a 20 anni fa, e hanno raggiunto quota 2,5 milioni, le famiglie monogenitoriali, con una netta predominanza delle madri (80,9%). Donne che corrono un rischio molto più alto di scivolare nella povertà e che si assumono da sole il maggior peso della cura dei figli. Ma questo accade anche alle madri che convivono con il partner. Perché è vero che sta migliorando la collaborazione nelle attività che riguardano i figli (come l’accompagnamento a scuola o agli sport, con un 57,4% di madri e un 55,3% di padri rilevato dal rapporto Inapp Plus 2022).
Ma le faccende domestiche e familiari restano appannaggio delle madri. Al divario tra i tassi di occupazione di donne e uomini, si aggiunge il gap tra donne con e senza figli. Il rapporto Bes evidenzia un tasso di occupazione pari al 55,5% tra le donne tra i 25 e i 49 anni con un figlio fino a sei anni, che sale al 76,6% per chi non ha figli. Secondo il Bilancio di genere 2022 del Mef il rapporto tra il tasso di occupazione delle lavoratrici madri con figli under 6 e quello delle lavoratrici senza figli è pari al 73%: significa che su 100 donne senza figli occupate, ci sono solo 73 madri che lavorano. È sempre l’Inapp a registrare che la quota di donne con almeno un figlio che non ha mai lavorato per prendersene cura è pari all’11,1%, rispetto a una media europea del 3,7 %.
L’Ispettorato del lavoro nell’ultimo rapporto 2021 registra 37.662 cessazioni dal lavoro da parte di donne con figli (il 71,8% del totale) contro 14.774 da parte di padri (28,2%). La natura di queste dimissioni racconta l’ennesima spaccatura nelle condizioni di lavoro: per le madri a pesare sono le difficoltà di conciliare professione e famiglia (che rappresentano il 65,5% sul totale delle motivazioni), mentre solo il 21,7% fa riferimento a casi di trasferimento ad altra azienda. Che è invece la motivazione più diffusa per le dimissioni tra i padri con il 78,2%. Non stupisce che il part-time resti il regno incontrastato delle donne: nel 7° rapporto di Save the Children “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022” si ricorda che è il contratto del 39,2% di chi ha due o più figli minorenni.
Non sorprende neppure che le retribuzioni medie femminili siano del 20% inferiori a quelle degli uomini (oltre 7mila euro annui) per un impiego a tempo pieno e del 16% inferiori (più di 3mila euro) per un lavoro a tempo parziale. C’è da chiedersi perché, poste davanti al bivio tra licenziarsi ottenendo un sussidio di disoccupazione e continuare a lavorare, molte mamme scelgano la prima opzione. Per l'INPS «parte di queste scelte è derivata dall’eccessivo costo di tornare al lavoro dopo la maternità, dovuto alla mancanza di servizi per l’infanzia». Un vuoto ben noto, al punto che il Pnrr destina 4,6 miliardi alla realizzazione di asili nido e scuole materne per 264.480 nuovi posti entro il 2026.
(Sintesi redatta da: Anna Costalunga)